I vari nipoti e nipotini di Mussolini hanno appena ricevuto un regalo natalizio dalla magistratura ed è piuttosto seccante: varie condanne a più di 8 anni di carcere rifilata a un gruppo di post-fascisti espliciti per l’assalto alla Cgil romana, avvenuto il 9 ottobre del 2021. L’attacco era stato lanciato dopo una manifestazione indetta dall’estrema destra per protestare contro le misure anti-Covid disposte dal governo Draghi. Alcuni imputati qualche mese prima avevano scelto il rito abbreviato, con condanne tra i 6 e i 5,4 anni.

Perché abbiamo scritto post-fascisti espliciti? Perché costoro non si sono mai posti il problema di non apparire squadristi. Al contrario di quello che fanno coloro che oggi governano: loro sono nostalgici in modo implicito (cioè deducibile, anche se non espressamente enunciato o manifestato), dato che appaiono molto indaffarati nel proporsi come un’estrema destra moderata. Un escamotage che per ora sembra funzionare, nonostante gli aggettivi “estrema” e “moderata” mal si concilino tra loro; e malgrado il simbolo del loro partito mostri ancora la fiamma del Msi, a sua volta eredità della Rsi e di quella che arde sulla tomba del Duce.

Sui tentativi di revisione estetica esteriore da parte di Fratelli d’Italia tratteremo dopo. Per ora torniamo in tribunale a Roma: i giudici, alla fine dell’ultimo processo, hanno condannato 7 imputati, recependo l’impianto accusatorio proposto dalla Procura. In particolare, hanno inflitto 8 anni e 7 mesi di carcere a Giuliano Castellino, leader romano del movimento neofascista Forza Nuova; 8 anni e 6 mesi al fondatore di Fn Roberto Fiore e al militante Luigi Aronica. Otto anni e due mesi per gli altri imputati: Luca Castellini, Salvatore Lubrano, Lorenzo Franceschi e Pamela Testa.

La pm Gianfederica Dito li aveva accusati, a seconda delle posizioni, di istigazione a delinquere, devastazione e resistenza pluriaggravata. La pm aveva detto: “Roma venne messa a ferro e fuoco”. Dopo la lettura del verdetto, in aula i camerati dei condannati si sono esibiti in saluti romani, slogan contro i giudici e frasi bellicose tipo: “Gente come noi non molla mai!” e, in romanesco, “Ora famo la guera!”. L’Anpi ha commentato: “Stupisce che non sia stato neppure considerato il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista“. Di certo, “la sentenza conferma la matrice fascista dell’assalto”, secondo il segretario della Cgil, Maurizio Landini.

In attesa di verificare se i fan dei condannati hanno davvero intenzione di fare “la guera”, torniamo ai post-fascisti impliciti. Fratelli d’Italia (FdI) non ha mai davvero tagliato i punti con Fn e dintorni, un po’ per questioni affettive, un po’ per questioni elettorali. Nell’agosto del 2022 Paolo Berizzi, inviato di Repubblica, uno dei maggiori conoscitori dell’estrema destra italiana (infatti deve andare in giro con la scorta), ha detto a Micromega: “In questi anni Fratelli d’Italia ha sempre formalmente ribadito la sua distanza da […] Forza Nuova, Casapound, Lealtà e Azione e altre (formazioni di destra molto estrema, nda). Nei fatti però ci sono zone di contiguità, terreni di condivisione ideologici, convergenze politiche. E tutto questo mi fa pensare che i voti dei militanti di queste formazioni confluiranno in Fratelli d’Italia. Non si tratta di grandi numeri, anzi parliamo di forze politiche che raccattano lo zero virgola, ma sono voti che a Meloni servono perché garantiscono la militanza sul territorio”.

Guarda caso, risale a pochi giorni fa la notizia che va rifatto il processo in cui è imputato Daniele Polato, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia più votato in Veneto nel 2020 e capogruppo in Regione: avrebbe vidimato le firme false a sostegno della lista di Forza Nuova raccolte nel 2015 dal già citato Luca Castellini. Non solo. Andando a ritroso, nell’ottobre del 2021, dopo l’irruzione nella sede sindacale, FdI in Parlamento non ha votato la mozione del Pd sulla proposta di scioglimento di Forza Nuova; mozione poi passata.

Tuttavia, perché il Ministero dell’Interno possa ordinare lo scioglimento, occorre una sentenza chiara della magistratura sulla ricostituzione del partito fascista. Mentre il 7 gennaio 2008 Giorgia Meloni, da ministra della Gioventù nel quarto governo Berlusconi, si faceva scortare ad Acca Larenzia dal capo neofascista Castellino, uno dei condannati per l’assalto alla Cgil (nel luglio 2022 lo stesso Castellino ha diffuso una foto in cui posa accanto alla giovane Meloni).

Per quel che riguarda il legame di FdI con le radici mussoliniane, basterebbe citare le tante esternazioni del presidente del Senato Ignazio Benito La Russa; quelle a proposito, per esempio, di busti del Duce ospitati con orgoglio in casa, dei 32 soldati nazisti colpiti in via Rasella nel 1944 (da lui definiti innocui membri di una «banda musicale di semipensionati», mentre erano stati protagonisti di rastrellamenti e uccisioni) o sull’indigesta Festa della Liberazione. Oppure sarebbe sufficiente citare le amnesie della premier a proposito delle Fosse ardeatine, dove furono uccisi dai nazisti (col placet dei fascisti) 335 cittadini (antifascisti, ebrei, oppositori) come ritorsione dopo via Rasella.

Però val la pena di andare più a fondo rispetto alla “superficialità” della cronaca. Per riuscirci, mi faccio aiutare da Alessandro Aresti, professore associato di Linguistica italiana all’Università di Cagliari. Nel libro Il Melonario (edito nel 2023 da Castelvecchi e dedicato alle parole e alle locuzioni utilizzate dalla presidente del Consiglio) ha scritto il capitolo intitolato Fratelli d’Italia tra nostalgia del passato e politica 2.0. Dieci anni di comunicazione elettorale attraverso manifesti, spot e webcard. Ebbene, si occupa, tra l’altro, dell’evoluzione del simbolo di FdI.

Nel 2012, anno della nascita del partito meloniano, il primo simbolo riportava solo la scritta Fratelli d’Italia, sopra, e sotto, in piccolo, “Centrodestra nazionale”; nel 2014 invece compare sotto il simbolo di Alleanza nazionale, che a sua volta contiene quello più piccolo del Msi; nel 2017 il simbolo (attualmente in uso) non mostra più i riferimenti ad An e al Msi, in compenso la fiamma (quella che arde sulla tomba del Duce a Predappio) si ingrandisce di 5 o 6 volte e occupa metà dello spazio. Secondo il professore, è «una scelta dal valore simbolico ben preciso: la volontà esplicita di accreditarsi come eredi naturali della destra postfascista e conservatrice».

Un altro esempio? Nel 2018 appare un manifesto elettorale ufficiale di FdI, proposto sul web (in gergo internettiano una webcard). Vi si vedono, a fianco, Giorgio Almirante, storico leader del Msi, e Giorgia Meloni, leader di FdI, con lo slogan inequivocabile “da Giorgio a Giorgia”. Slogan e accostamento grazie ai quali, scrive Aresti, «si vuole rimarcare la continuità tra il passato e il presente della destra italiana». E via di questo passo, tanto per non lasciare dubbi.

Ovviamente non è opportuno aspettarsi che FdI cambi rotta, visto che con questa impostazione il successo finora ha premiato il partito. Però non bisogna farsi illudere dall’ipotesi che la nostalgia del fascismo e il richiamo al regime fascista siano argomenti che Forza Nuova e dintorni maneggiano e propagandano in esclusiva: i camerati di Fn sono soltanto più espliciti. Detto questo, ognuno di noi, almeno per ora, può votare come vuole, FdI incluso. Però è bene sapere con chi si ha – implicitamente – a che fare.

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