Passeggiando per le vie dello shopping delle maggiori città italiane i cartelli di ricerca personale affissi sulle vetrine dei negozi si sprecano. Uno dopo l’altro, sembra che nessuno voglia più lavorare nel settore e le associazioni di categoria da tempo lamentano difficoltà nel reperimento di personale in tutto il Paese. Identica situazione per i supermercati, nonché per il sempreverde settore del turismo che da anni ormai denuncia un giorno sì e uno no sui giornali di non riuscire più a trovare giovani disposti a lavorare. Ma quali sono le ragioni di questo fuggi fuggi generale?
“Sono scappata dopo anni di lavoro in negozio perché non avevo più una vita. Non esistono domeniche, non esistono feste, non esiste programmazione di riposi perché tutto può cambiare ed essere annullato con preavvisi minimi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è quando ci hanno comunicato che avremmo aperto anche il Primo gennaio. In quel momento ho deciso di dire basta e cercare altro”, racconta Giovanna a ilfattoquotidiano.it. “Ora lavoro come segretaria in un ufficio di spedizioni, fortunatamente parlo due lingue e questo mi ha permesso di rivendermi in un altro campo. Lo stipendio non è alto, ma lavoro 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana. Impagabile a livello di vita privata”.
Oltre 5 milioni di lavoratori del terziario da anni sono in attesa dei rinnovi dei contratti nazionali di categoria e di miglioramenti rispetto alle condizioni professionali nel settore, dal turismo al commercio, e per questo motivo i sindacati confederali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno indetto uno sciopero unitario per il 22 dicembre per chiedere aumenti salariali adeguati, nonché protestare contro la riduzione dei permessi retribuiti e degli scatti di anzianità proposta dalle controparti datoriali, il ricalcolo dell’importo della tredicesima (turismo) e al metodo di ricalcolo della quattordicesima (commercio), l’aumento della flessibilità e dell’utilizzo dei contratti a tempo determinato.
Le richieste dei lavoratori e rappresentanti sindacali sono disattese da tempo e, anzi, le condizioni negli anni sono addirittura andate via via peggiorando, complici da un lato l’altissima incidenza di irregolarità nelle piccole realtà del settore terziario, come testimoniato dall’ultimo rapporto annuale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, e il ricorso a forme di flessibilità, contratti precari e ricorso a stagisti a rotazione nelle grandi aziende. Il quadro è estremamente nefasto in tutta Italia e, anche complice la pandemia, sono decine di migliaia i lavoratori che hanno deciso di abbandonare posti in negozi, ristoranti, alberghi, bar e supermercati nel corso degli ultimi anni, preferendo settori che garantiscono contratti più solidi e una maggiore tutela di diritti ed equilibrio tra vita privata e lavorativa. Oppure direttamente l’estero.
Da un lato, dunque, il problema dei salari bassi e ormai inadeguati al costo della vita e all’inflazione, dall’altro la piaga dell’irregolarità che sembra attanagliare in particolar modo il settore del turismo e del commercio in tutto il Paese, che rimane pur sempre fondato sulle piccole attività e non sulle grandi catene: secondo l’INL, infatti, l’incidenza sfiora il 70% a livello nazionale, soprattutto in relazione ad attività gestite da micro o piccoli imprenditori e in particolar modo al Sud. Insomma, quasi 3 imprese del settore su 4 stando ai controlli propongono forme di lavoro irregolari, non rispettando le norme in materia di rispetto degli orari di lavoro, adeguati livelli contrattuali rispetto alle mansioni svolte, contratti in grigio che mettono in regola i lavoratori solo per una piccola parte del monte orario effettivamente lavorato.
“Ora sono in Australia e sono ben felice della scelta che ho fatto”, si sfoga Giacomo, 28 anni, che ora vive a Melbourne. “In 8 anni da cameriere in ristoranti di fascia media e alta non ho mai, e dico mai, avuto un contratto davvero regolare. Orari estenuanti, anche fino a 13/14 ore al giorno su doppio turno, per una busta paga regolare che non ha mai superato le 30 ore settimanali. Sì, spesso ho preso un adeguamento fuori busta, ma che comunque non era mai adeguato alla mole di lavoro. Cosa sono 1500 euro al mese per non avere una vita? E i mancati contributi? Poi dicono che prenderemo pensioni basse, sempre se le prenderemo. E grazie, non mi sorprende affatto vista la situazione”.
Per chi all’estero non può andare, la situazione appare estremamente grama, invece. Soprattutto se fa parte di una delle categorie di lavoratori più vessata: quella delle madri lavoratrici. Gaia ha 35 anni, è sposata e mamma di due figli, ma la sua famiglia non riesce a godersela praticamente mai. “Quando racconti di lavorare in un negozio la gente quasi ti invidia, ma solo quelli che in un negozio non hanno mai messo piede se non come clienti. Lavorare in un punto vendita di una grande catena significa avere molto spesso contratti part-time, ovviamente a tempo determinato finché possono fartelo, e poi fare straordinari di continuo, dicendo sempre di sì nella speranza che prima o poi quel contratto si trasformi in un indeterminato dalla minima sicurezza. E mica questi straordinari sono sempre retribuiti. Se finisci in un’azienda che propone la banca ore sei spacciato. Ho un marito e due figli, ho perso il conto dei compleanni a cui non ho potuto essere presente, delle domeniche in cui non ho potuto fare una passeggiata al parco, delle Feste dei Lavoratori passate in negozio. Perché lavoro ancora in negozio? Perché non mi posso permettere di perdere il lavoro, ho delle spese da pagare e due figli piccoli. Se vado a fare un colloquio mi guardano male appena capiscono che sono madre”.
E quindi, tornando alla domanda iniziale, ascoltando le testimonianze dei lavoratori dei settori coinvolti dallo sciopero raccolte da ilfattoquotidiano.it nel corso di questi mesi, le motivazioni di questa mancanza di giovani e meno giovani disposti a lavorare in commercio e turismo appare essere semplicemente e inequivocabilmente una: le condizioni di lavoro, tra salari bassi, sfruttamento e precariato. Non una novità, purtroppo.