Il Bologna vola in Campionato e in Coppa Italia e volava sessant’anni fa. E anche cinquanta: sarà l’effetto della cabala e delle stagioni che iniziano col 3 e finiscono col 4. Nel 1963, il 22 dicembre Harald Nielsen ed Ezio Pascutti regolavano il Mantova, mandando un messaggio al Milan capolista. Harald, detto Dondolo, danese: un metro e settantotto, non un gigante, ma sicuramente alto per l’epoca. Alto e magro, con una caratteristica andatura caracollante: Dondolo appunto. Dondolava e segnava in rossoblù: non molto nella prima stagione, nel 1961 appena arrivò, regalo del presidente Dall’Ara a mister Bernardini, 8 gol. Poi a raffica, come nella stagione 1963/64. Una stagione iniziata senza botti di mercato: l’anno prima era arrivato addirittura Helmut Haller (Dall’Ara andò fino in Germania in Mercedes per prenderlo) per provare a vincere, ma nonostante un super attacco da 58 gol e campioni del calibro di Bulgarelli, Perani, Haller, Nielsen e Pascutti e la soddisfazione di Bernardini secondo cui “così si gioca solo in Paradiso”, lo scudetto non era arrivato. Nell’estate ’63 era arrivato solo Willy Negri dal Mantova per blindare la porta rossoblu e l’avvio di campionato, con tre vittorie, quattro pareggi e una sconfitta suggeriva di non metterci troppo il pensiero, neanche stavolta.

La svolta arriva il 24 novembre: al Comunale (allora si chiamava così) arriva il Lanerossi di Scopigno, che in quel periodo viaggiava nelle prime posizioni, e Nielsen, Haller e Bulgarelli calano il tris, portandosi a tre punti dalla vetta. Seguono 10 vittorie consecutive: cadono Juve, Milan, Genoa, Lazio e Torino. Già: il Torino di Nereo Rocco. La gara finisce 4 a 1 con Nielsen, Pacutti e doppietta di Bulgarelli. Poi arrivano tre pareggi consecutivi contro Atalanta, Fiorentina e Modena e la vittoria nello scontro diretto a San Siro, contro il Milan: due a uno, con Amarildo che porta in vantaggio i rossoneri e Nielsen e Pascutti che la ribaltano. Il mercoledì successivo lo scandalo: in quella gara col Toro Pascutti, Pavinato, Fogli, Tumburus e Parani erano positivi alle anfetamine, dopati. Bernardini viene squalificato, il paròn Rocco pur avendone prese quattro in quella partita non ci crede: “Drogati? A me parevano giocatori formidabili”, dice. Si apre un caso, anche mediatico, in un’Italia che all’epoca di doping sa ben poco. Verità o complotto? Da Bologna ci vedono la mano dell’Inter, o magari del Milan, nella certezza che le condizioni in cui erano conservati i flaconi delle urine dei calciatori del Bologna erano tutt’altro che di sicurezza.

Intanto i cinque calciatori positivi dopo la gara contro il Toro erano risultati inequivocabilmente negativi dopo quella col Milan: difficile ipotizzare un doping contro un’avversaria più modesta e non in una gara decisiva per il campionato, ma tant’è. In un clima avvelenato il Bologna perde in casa contro l’Inter e le squadre arrivano al 21 maggio, ultima gara di campionato, a pari punti. L’accusa di doping cade: non ci sono sostanze dopanti in quei campioni conservati a Coverciano, Bernardini e i calciatori vengono assolti. Si opta per uno spareggio a Roma il 7 giugno, tra il Bologna e l’Inter che intanto il 27 maggio diventa campione d’Europa, vincendo contro il Real Madrid. Ma per il Bologna non c’è pace: il 3 giugno, in una riunione a Milano che lo vede impegnato con il presidente “rivale” Angelo Moratti e col massimo dirigente della Lega Calcio Perlasca, Dall’Ara, già cardiopatico, viene colto da un infarto che non gli lasciava scampo. I rossoblu dominano la gara, segna uno degli “accusati” di doping, Fogli, e poi Harald Nielsen, consegnando al Bologna l’ultimo dei suoi sette scudetti. Non l’ultimo dei suoi trofei: nel ’73-’74, col “PetissoPesaola in panchina, e ovviamente passando prima per una sofferta doppia gara contro l’Inter, il Bologna batteva il Palermo in finale, e ancora a Roma, vincendo la Coppa Italia. Cinquant’anni dopo c’è un Bologna che fa cantare il Dall’Ara: non avrà Nielsen, né Bulgarelli e Thiago Motta ha poco in comune col dottor Bernardini (qualcosa con Pesaola sì però) e magari non “trema il mondo”, ma qualche grande sì.

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