Per tante persone le cene e i pranzi natalizi hanno un costo energetico e un impatto psicologico ed emotivo davvero elevato, dovuto principalmente a tre fattori. Ecco quali
Tra le più complesse prove iniziatiche che l’essere umano deve affrontare lungo il corso della vita ci sono le cene e i pranzi di Natale con parenti e amici. Non solo per l’impegno in termini digestivi, ma soprattutto per l’impatto sulla nostra psiche e sulle emozioni. Ci vorrebbe un manuale intitolato “Pronto soccorso psicofisico di ripresa post-natalizia”, con esercizi, allenamenti fisici, meditazioni e respirazioni per gestire il tutto.
Scherzi a parte, per tante persone le cene e i pranzi natalizi hanno un costo energetico e un impatto psicologico ed emotivo davvero elevato, dovuto principalmente a tre fattori: le dinamiche relazionali con i parenti, la presenza di irrisolti e le aspettative e i preconcetti che ci vengono proiettati addosso. Il punto fondamentale è che in quel contesto tutti credono di conoscerci. Non vedono realmente ciò che hanno davanti, ma solo l’idea che negli anni si sono fatti di noi.
A questo proposito voglio condividere una storia che ho vissuto personalmente. Durante una relazione di coppia durata molti anni, la mia partner si era convinta che io non fossi in grado di cucinare per via della prima cena in cui, effettivamente, avevo cucinato in modo pessimo. Da lì in poi nella sua mente si era fissato il pensiero che fosse meglio che io non cucinassi affatto, e così è stato per tutta la lunga durata del rapporto, tant’è che alla fine ero convinto anch’io di non saper cucinare. Una volta terminata la relazione, dopo un consistente periodo di solitudine, decisi di intraprendere un nuovo percorso sentimentale. Questa volta, però, accadde esattamente il contrario: durante la prima cena a casa le ricette che avevo preparato piacquero molto e da quel momento in poi divenni un ottimo cuoco. Ero improvvisamente convinto di essere bravo in cucina e la mia creatività salì alle stelle, al punto che questa convinzione influenzò l’andamento delle mie attività domestiche per tutte le successive cene di coppia e con amici.
Non credo, dunque, che in generale l’essere umano sia pienamente consapevole del potere devastante delle proprie credenze. Soprattutto di quelle che proietta sugli altri. Immaginiamo ora che questo effetto venga potenziato un migliaio di volte durante le cene e i pranzi natalizi, dove la famiglia intera si unisce in egregori mentali molto poco consapevoli. Giudizi, proiezioni, pregiudizi, credenze limitanti… Tutto chiaramente basato sulle personalissime convinzioni e prospettive di come ognuno di noi interpreta la vita, senza tenere conto del percorso individuale di ciascuno. Può capitare che una persona stia attraversando un momento di crisi o stia compiendo degli sbagli: è lì che ciascuno si sente, erroneamente, in diritto di “dire la sua”, interpretando la situazione senza avere la visione d’insieme e senza nemmeno considerare come quel periodo possa essere in realtà funzionale per una più profonda comprensione di sé, dei propri limiti e delle proprie potenzialità, che porteranno quella persona ad essere apprezzata e ad avere successo in altri ambiti.
E invece no, ciò che parenti e amici vedranno non sarai tu, esattamente così come sei, ma solo la loro idea di come dovresti essere. Nel malaugurato caso in cui, poi, tu dovessi deludere le loro aspettative e i loro preconcetti risulteresti (non dichiaratamente) un traditore. Come ti sei permesso di tradire e discostarti dall’idea che ho di te? Dalle nostre aspettative mentali? Da come crediamo debbano essere le cose e le persone, il giusto e lo sbagliato?
È proprio vero che la più grande delle trasgressioni è la fiducia. La fiducia anche in quello che ai nostri occhi appare un errore, o qualcosa di strano e inusuale.
Liberiamoci, dunque, dalle aspettative sugli altri e liberiamoli dalle nostre idee su come dovrebbero o non dovrebbero essere.
Da dove partire? Dal più tossico di tutti i pensieri: l’idea di sapere come stanno le cose e come gli altri dovrebbero essere per andarci bene. Ci sono persone che vivono credendo di avere ragione. Che terribile condanna! Non sanno riconoscere che la radice di quel bisogno è un profondissimo senso di insicurezza personale. Possiamo anche riempire quell’insicurezza con chili di cultura, con il lavoro, con amicizie rassicuranti, ma fino a che non affronteremo realmente e in profondità quella fragilità, non riusciremo davvero a liberarcene. Prendiamo prima di tutto consapevolezza che le aspettative, sia positive che negative, possono avere un impatto significativo sul nostro comportamento e sulla nostra psiche: come le aspettative positive possono portare sentimenti di felicità, motivazione e fiducia, così quelle negative possono causare ansia, stress, tensione, rabbia, delusione e conflitti, fino a portare a una rottura della comunicazione, a una chiusura e alla perdita della fiducia in quella relazione.
Conoscete l’effetto Pigmalione? Noto anche come effetto Rosenthal-Jacobson, dimostra come l’aspettativa possa influenzare prestazioni e risultati. Il più classico degli esempi riguarda gli insegnanti scolastici: semplificando, se un insegnante avrà aspettative elevate su uno studente, questo tenderà a conformarsi ad esse e si impegnerà di più per soddisfarle, migliorando le prestazioni scolastiche; se, invece, il docente ha aspettative basse, lo studente sarà portato a credere di non essere in grado di avere successo, maturare un atteggiamento di rifiuto e il suo rendimento ne risentirà negativamente. Inoltre, gli studi sull’effetto Pigmalione dimostrano non solo come i livelli di apprendimento degli studenti siano influenzati dalle aspettative degli insegnanti, ma anche come gli insegnanti tendano a concentrarsi inconsciamente sugli studenti che ritengono più capaci e intelligenti, offrendogli migliori e maggiori opportunità di apprendimento.
Qual è il punto? Le aspettative e i pregiudizi incidono su autostima, fiducia in sé stessi, motivazione. Dovremmo, dunque, essere più consapevoli dei danni che possono fare e imparare a comunicare in maniera più empatica e umile, smettendo di credere di sapere sempre come stanno le cose; promuovere e incrementare la fiducia nelle altre persone, imparando prima di tutto ad avere più fiducia in noi stessi; sostenere una persona quando sta vivendo un momento di trasformazione o difficoltà invece di giudicarla; smettere di giudicare le differenze e ciò che non capiamo, ma valorizzarle; infine, utilizzare un linguaggio inclusivo.
Facciamo, dunque, questo bel regalo a Natale: liberiamo gli altri dalle nostre aspettative, regaliamo la libertà.