Quando è partito la prima volta, alla mamma ha detto che sarebbe stato via solo un anno. Oggi ne sono passati 17, si è spostato tra Francia, Spagna, Irlanda e Germania e non è ancora tornato. Roberto Pangallo ha 42 anni, è nato e cresciuto in una città alpina del Piemonte, Domodossola, ed è originario di un piccolo comune della Calabria, Bova Marina. Racconta la sua storia da Tenerife, dove lavora come manager per una startup internazionale nel settore dell’ingegneria meccatronica applicata all’ottica 3D di nuova generazione. “Non penso di dover tornare in Italia solo per esserci nato, la dimensione lì fuori è ben più grande”.
Sono tre i fattori che hanno spinto Roberto a partire, nel settembre del 2006. “Ero all’ultimo anno di università in ingegneria al Politecnico di Torino, avevo appena ottenuto una borsa di studio e l’occasione si era rivelata imperdibile”. Così, si trasferisce nel sud della Francia, in Nuova Aquitania. Il primo giorno della tua vita all’estero, ricorda, è il più duro: rompi il ghiaccio, ti guardi intorno, ti chiedi sempre se ne vale la pena, nonostante siano chiari i vantaggi e le opportunità che ti offrono le esperienze internazionali. “Distaccarsi da famiglia, amicizie, abitudini e in generale dalla tua quotidianità per immergersi in una realtà piena di incognite e dubbi è un grande scoglio mentale”.
A Limoges Roberto frequenta la scuola nazionale superiore d’ingegneria. Una Ecole che nel sistema francese si colloca in una posizione intermedia tra la basica Université e la eletta Polytechnique, grado più alto in termini di selezione e preparazione. “Come studenti, sentivamo una competizione alla quale non eravamo abituati in Italia”, ricorda Roberto al Fatto.it. Alla fine del corso, per la necessità di dover concludere l’anno accademico con uno stage, si trasferisce a Barcellona. Lì inizia la sua vita in Spagna, tra la Catalogna, la capitale, Madrid, e infine la canaria Tenerife (passando per Galway, Irlanda e Berlino, Germania).
Aver fatto delle esperienze internazionali ti rende più aperto e dinamico, spiega Roberto: la lingua rappresenta uno “svantaggio iniziale” che si rivela un “valore aggiunto” a lungo termine. La differenza sostanziale sta invece nell’opportunità di entrare fin da subito nel mondo del lavoro, tramite responsabilità, capacità e fiducia. Certo, per uno come lui che oggi parla fluidamente spagnolo, francese, inglese e qualcosa di catalano, irlandese e tedesco, adattarsi “è stato abbastanza facile”.
Oggi Roberto vive e lavora a Tenerife: un territorio appartenente all’arcipelago delle Canarie che gode di benefici fiscali, essendo considerato area remota della Spagna. “L’iva è al 7% e i residenti hanno sconti per viaggiare dalla propria isola verso tutto il resto del territorio spagnolo al 25% del prezzo del biglietto intero. Le tasse sullo stipendio ammontano al 25-30%”, racconta. Dopo il lavoro, La Laguna, prima città canaria universitaria e unica a essere dichiarata patrimonio Unesco, offre varie attività culturali (o c’è una “semplice cervecita en una terraza che ti aspetta”). I fine settimana sono dedicati alla natura e allo sport: le isole dell’arcipelago sono molto diverse tra loro ma la temperatura costante tutto l’anno tra i 16° e i 24° favorisce attività all’aria aperta. In Spagna c’è poco interesse nel giudicare gli altri, continua Roberto: “I primi tempi a Barcellona mi sorprendevo di come la gente potesse girare per strada in maniera stravagante nella completa indifferenza degli altri passanti. Il non sentirsi sempre il giudizio degli altri addosso, ti permette di vivere più serenamente”, aggiunge.
Dopo aver lavorato per grandi multinazionali, l’ingegnere piemontese oggi è manager in una startup con 36 dipendenti e sedi a Tenerife, Madrid e San Francisco. È sempre un rischio lasciare grandi aziende per mettersi in gioco in una realtà più piccola, ma in Spagna (come in altri Paesi europei) “c’è grande fiducia nel prossimo”. Non c’è, inoltre, un atteggiamento politico a gestire le logiche di impresa: il lavoro è semplice e trasparente. “Si dà del tu a tutti e si sente meno la pressione gerarchica”: un aspetto importante, specie in una startup ad alto contenuto di ricerca e innovazione, dove l’incertezza è all’ordine del giorno e deve essere considerata in maniera positiva come l’opportunità innovativa di arrivare dove nessun altro è arrivato prima. La fiducia riscontrata all’estero ha permesso a Roberto di maturare. Quello che non è accaduto in Italia, dove di tanto in tanto sostiene colloqui di lavoro, più per curiosità che per interesse. “Non ho mai trovato ambienti che potessero costituire un possibile valore aggiunto per il mio cammino professionale”, spiega.
Dopo aver girovagato per mezza Europa, ci sarà spazio per tornare, un giorno? Per lui, che si sente a tutti gli effetti un cittadino europeo, da un lato c’è il desiderio di contribuire alla rivalsa di un Paese che “considero il più bello al mondo” e che, però, visto da fuori, sembra abbia la “tendenza ad accartocciarsi su sé stesso, con poco spirito altruista, di collettività e troppa burocrazia”. Dall’altra c’è la consapevolezza che quando scopri più opportunità e ti senti a tuo agio “è più complicato tornare indietro”. Nonostante lui e Daniela, sua sorella maggiore (oggi negli Usa), abbiano deciso di vivere all’estero, sono sempre stati incoraggiati dai genitori, mamma Giuseppina e papà Carmelo, sulle ali delle soddisfazioni personali e professionali. “Mi piacerebbe un giorno vedere i giovani italiani (specie quelli del Sud) con le stesse possibilità di quelli europei. All’estero – conclude Roberto – non capiscono tanto la politica italiana e il ritmo ridotto di sviluppo che stiamo avendo rispetto alla quasi totalità degli altri Paesi dell’UE”.