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Delitto di Chiavari, dopo 27 anni richiesto rinvio a giudizio. La criminologa che ha fatto riaprire le indagini: “La svolta grazie ad un verbale su dei bottoni”

A far riaprire l’inchiesta del novembre del 2021 che ha portato alla Cecere è stata la criminologa Antonella Delfino Pesce a cui la madre di Nada, Silvana Smaniotto, nel 2018 aveva affidato uno scatolone con dentro tutte le carte degli avvocati della famiglia Cella

Per Annalucia Cecere è stata fatta richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Genova. A 27 anni di distanza dal delitto irrisolto di Chiavari, la donna accusata dell’omicidio di Nada Cella potrebbe essere processata per l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. La giovane segretaria fu trucemente uccisa a soli 25 anni il 6 maggio del 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco a Chiavari. La richiesta di rinvio a giudizio è stata fatta anche per Soracco e per la sua anziana madre, Marisa Bacchioni, che dovranno nell’eventualità rispondere di false dichiarazioni e favoreggiamento. Ben più gravi le accuse rivolte per la Cecere: omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi.

Il delitto

6 maggio 1996, sono le nove del mattino, una donna viene trovata agonizzante nello studio del commercialista Marco Soracco. Ha il cranio fracassato, c’è sangue ovunque. Ha solo 25 anni, è Nada Cella: a ritrovarla in fin di vita è proprio il suo datore di lavoro. La ragazza morirà in ospedale poche ore dopo. Il primo a essere indagato dal procuratore Filippo Gebbia sarà Marco Soracco, ma in breve la sua posizione verrà archiviata.

L’ultima inchiesta

A far riaprire l’inchiesta del novembre del 2021 che ha portato alla Cecere è stata la criminologa Antonella Delfino Pesce a cui la madre di Nada, Silvana Smaniotto, nel 2018 aveva affidato uno scatolone con dentro tutte le carte degli avvocati della famiglia Cella. Quelle carte contengono un’indagine autonoma dei carabinieri (a condurre le prime fu la Polizia) sulla “donna misteriosa”, ovvero la Cecere. Questo fascicolo andò perso. Una volta ritrovato, è stato rispedito dalla criminologa alla Procura di Genova che ha riaperto il caso iscrivendo nel registro degli indagati Annalucia Cecere. “Tre procuratori – spiega a FQ Delfino Pesce – si sono succeduti dalla riapertura delle indagini. È stata durissima per tutti, ma ci sono tanti elementi che sono stati portati avanti dalla Squadra Mobile e dalla Procura. Ci sono vari punti su cui lavorare. Il processo servirà per arrivare alla verità. Quando ho ricevuto le carte nel 2018 ho rimesso in ordine tutti i faldoni, erano in tutto circa 12mila pagine, ho riletto i verbali della Polizia e dei Carabinieri. Nelle 15 pagine dell’indagine dei carabinieri c’erano elementi importanti ma mancavano alcuni fogli che poi abbiamo recuperato, erano in Procura a Genova. C’era una montagna di inizi sulla Cecere ma non riuscivo a trovare un elemento nuovo per far riaprire le indagini, alla fine è sbucato il verbale dei bottoni dei Carabinieri mai trasmesso alla Polizia Giudiziaria”.

A cosa si riferisce Delfino Pesce?

Nell’ufficio di Soracco venne ritrovato un bottone, immerso nel sangue. Era identico a dei bottoni che furono rinvenuti dai carabinieri, indirizzati dalle segnalazioni di due mendicanti che avevano tracciato un identikit della Cecere, proprio a casa della donna, in un cassetto. “Ci sono tante testimonianze – aggiunge Delfino Pesce – che hanno portato sulla pista della Cecere. So che può sembrare strano che all’epoca non fu identificata ma credo sia più facile, dopo 25 anni. Io ho potuto leggere tutti i verbali, e avere sguardo complessivo. Una visione d’insieme è la forza di un caso irrisolto, è come guardare dall’alto. Peccato che i reperti non fossero in condizioni ottimali perché hanno reso il Dna inutilizzabile”.