Nel 2023 la Germania ha autorizzato esportazioni di armi come mai prima. L’ incasso è stato di circa 11,7 miliardi di euro. Il record precedente era stato registrato nel 2021 con 9,3 miliardi. L’aumento rispetto ad allora è del 25%, mentre nel confronto sul 2022 è addirittura del 40%. I dati emergono da una risposta del Ministero dell’Economia ad un’interrogazione della deputata Sevim Dagdelen della formazione Bündnis Sahra Wagenknech, ripresa dall’agenzia Dpa. Nel 2023 la Germania ha esportato armi da guerra per 6,1 miliardi ed altri articoli bellici per 5,57 miliardi. Oltre un terzo, pari a 4,1 miliardi circa, è andato all’Ucraina; per la maggioranza però le autorizzazioni sono state in favore di Paesi Ue e Nato, o considerati affini all’Alleanza Atlantica come Giappone, Australia e Sud Corea. L’export di armamenti verso altri Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita ed Israele ha coperto solo un 10%, e cioè circa 1,76 miliardi di euro.
La coalizione di governo si era in realtà prefissa di frenare l’esportazione di armi; Verdi e Spd avevano in programma di presentare una legge per un più stretto controllo. La guerra in Ucraina ha cambiato tutto e l’imperativo di non autorizzare l’export di armamenti verso Paesi belligeranti è stato superato dal Cancelliere Olaf Scholz con il suo discorso del 27 febbraio 2022 in Parlamento, registrando che la guerra iniziata dalla Russia ha segnato un cambiamento epocale. Nel primo anno del conflitto la Germania ha dato all’Ucraina sistemi antimissile ed artiglieria pesante per 2,2 miliardi, cui quest’anno si sono aggiunti tra l’altro carri Leopard 2, facendo quasi raddoppiare il bilancio di armi concesse a Kiev.
Anche senza il fronte ucraino, tuttavia, le esportazioni di armamenti autorizzate da questo governo hanno coperto più di 7 miliardi, un tetto superato solo tre volte nei 16 anni di cancellierato di Angela Merkel (CDU). I primi beneficiari sono stati cinque paesi Nato: Norvegia 1,2 miliardi di euro, Ungheria 1,03 miliardi, Regno Unito 654,9 milioni di euro, USA 545,4 milioni, Polonia 327,9 milioni. Quindi Israele 323,3 milioni; dieci volte di più rispetto a quanto ottenuto nel 2022, oltre 200 milioni -la maggior parte- sono stati però autorizzati solo dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre ed hanno riguardato per lo più componenti anti-missile e per telecomunicazioni. Tra i Paesi non Nato, nei primi dieci posti c’è poi solo la Corea del sud con 256,4 milioni. Quindi su scala più ridotta i paesi arabi: gli Emirati (i dati però in questo caso sono solo fino al 30 novembre) per 78,2 milioni; Egitto 40,3 milioni; Qatar 15,1 milioni; Arabia Saudita 13,3 milioni.
Sevim Dagdelen ha criticato aspramente la coalizione semaforo, come è indicata l’alleanza di Governo tra Spd, Verdi e Fdp: “Anziché approvare l’esportazione di armi nelle zone di guerra e di tensione di tutto il mondo e di alimentare l’insensata guerra di logoramento in Ucraina, con donazioni sempre nuove di armi che la popolazione qui deve pagare a caro prezzo, il “semaforo” dovrebbe iniziare finalmente a fare gli investimenti necessari nelle infrastrutture e nell’istruzione per rimettere la Germania in carreggiata”. D’altronde anche Omid Nouripur, il capo dei Verdi che sono al Governo, trova che l’aumento delle autorizzazioni agli export bellici sia “una brutta notizia, che dice quale sia lo stato del mondo” ed auspica un veloce accordo sulla legge sul controllo delle esportazioni di armi che spera possa venire varata nel 2024.
Pure il socialdemocratico Ralf Stegner ha mostrato disappunto per l’aumento dell’export di armi, sottolineando la necessità di evitare di venderle soprattutto fuori dall’ambito Ue e Nato, a regimi dittatoriali ed in zone di crisi -e come esempio di Paese che non è una democrazia consolidata ha citato l’Arabia Saudita– ma ha anche ammesso che a questo principio ci possano essere eccezioni, come nel caso dell’Ucraina. Al contrario l’incaricato per gli esteri della Cdu Roderich Kiesewetter ha spronato il Governo a dare il via libera alle esportazioni dei jet Eurofighter proprio ai sauditi, per evitare che questi ultimi si spostino sull’asse cinese.