“L’escalation non è nell’interesse di nessuno”. Questa la risposta del ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Farhan, alle richieste degli Stati Uniti per coinvolgere il suo partner di lunga data del Golfo nell’operazione Prosperity Guardian, che prevede il dispiegamento di unità navali a protezione dei cargo nel Mar Rosso attaccati dagli Ansar Allah (Houthi) yemeniti nel contesto della guerra di Israele nella Striscia di Gaza. Secondo, infatti, alcune rivelazioni di funzionari sauditi e statunitensi al New York Times, l’Arabia Saudita è “disinteressata” a essere trascinata di nuovo in guerra con lo Yemen per proteggere gli interessi israeliani nel Mar Rosso. Il regno saudita, scrive il Nyt, “preferirebbe guardare questi ultimi sviluppi da bordo campo”, un approccio di cautela rientrante in una strategia più ampia “che si allontana dall’azione militare diretta e si incentra sul coltivare rapporti con le fazioni yemenite”. Secondo Riyad, infatti, “dopo otto anni di guerra, (Sanaa, ndr) ha effettivamente vinto”. Washington, invece, vorrebbe spingere l’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman ad abbandonare i piani di pace con lo Yemen, in cambio di un nuovo addestramento militare per l’esercito saudita e la promessa di revocare l’embargo sulle armi offensive imposto dalla Casa Bianca. L’ex ambasciatore americano in Yemen Gerald Feierstein ha affermato che gli Stati Uniti “potrebbero non essere contenti” del fatto che l’Arabia Saudita non abbia partecipato pubblicamente alla task force, aggiungendo però che la Casa Bianca “deve essere stata cieca, sorda e muta per non capire cosa stesse succedendo ed essere sorpresa dalla reazione da parte saudita”.

Le dichiarazioni dell’Arabia Saudita arrivano infatti in un contesto di riavvicinamento con gli Houthi e i loro alleati più importanti nella regione, l’Iran. A marzo, l’Arabia Saudita ha firmato uno storico accordo di riavvicinamento con Teheran sotto l’egida della Cina e le due nazioni islamiche sono a pochi giorni dal diventare le ultime aggiunte al blocco dei Brics. E, secondo Ahmed Nagi, analista senior dello Yemen presso l’International Crisis Group, la risposta degli Houthi alla guerra di Israele a Gaza nel Mar Rosso non sembra aver “minato i colloqui tra gli Houthi e i sauditi, al contrario, li ha avvicinati ancora di più”. Secondo il quotidiano al-Quds al-Arabi, l’assenza dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nella task force voluta dagli Stati Uniti è dovuta al loro desiderio di evitare l’escalation delle tensioni con l’Iran o di mettere a repentaglio gli sforzi di pace nello Yemen partecipando a qualsiasi azione navale. Riyad spera infatti nella risoluzione delle varie controversie regionali, cosa che le permetterebbe di concentrarsi sui suoi faraonici progetti nazionali, inclusa l’organizzazione dell’Expo 2030 e della Coppa del Mondo del 2034. Allo stesso tempo, i colloqui di normalizzazione politica con Israele si sono irrigiditi, in un contesto chiaro di forte avversione dei popoli arabi all’approccio americano nella regione e al sostegno unanime alla causa palestinese.

Alla luce degli ultimi sviluppi, il 24 dicembre, l’inviato delle Nazioni Unite in Yemen, Hans Grundberg, ha annunciato che le parti in conflitto nel paese arabo hanno “concordato una serie di misure per un cessate il fuoco globale e il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, e che si impegnano nei preparativi per la ripresa un processo politico inclusivo sotto gli auspici delle Nazioni Unite“. Il regno saudita ha accolto con favore la conclusione della road map per sostenere il percorso di pace nello Yemen ribadendo, in una dichiarazione del suo ministero degli Esteri, il suo “costante impegno nell’incoraggiare le parti yemenite a sedersi al tavolo del dialogo per raggiungere una soluzione politica globale e duratura sotto gli auspici delle Nazioni Unite e portare lo Yemen verso un rinascimento globale e uno sviluppo sostenibile che realizzi le aspirazioni del suo popolo fraterno”. Il piano di cessate il fuoco, come riferisce l’inviato Onu Grundberg, include anche “l’impegno a riprendere le esportazioni di petrolio dall’Arabia Saudita e dallo Yemen occupato dagli Emirati Arabi Uniti, a pagare tutti gli stipendi del settore pubblico nelle regioni controllate da Ansar Allah, ad aprire strade a Taiz e in altre parti dello Yemen e ad allentare ulteriormente le restrizioni sull’aeroporto di Sanaa e il porto di Hudaydah”.

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