Quasi tutto il petrolio prodotto in Russia finisce ora in Cina e in India. Lo ha affermato oggi il vice primo ministro Alexander Novak spiegando che dirottando quasi tutti i carichi Mosca è riuscita a neutralizzare gli effetti delle sanzioni occidentali. I due paesi asiatici hanno raccolto molte delle forniture che ora non arrivano più in Europa, con un notevole vantaggio economico, visto che il greggio russo viene venduto spesso “a sconto” rispetto alle quotazioni di mercato. Pechino e Nuova Dehli ricevono attualmente il 90% del petrolio esportato dalla Russia mentre la quota europea è scesa dal 45 al 5%. Novak ha ricordato come solo due anni l’import di petrolio dall’India fosse quasi nulla mentre ora copre il 40% del totale. Queste dinamiche hanno permesso a Mosca di raccogliere ricavi “comparabili a quelli del 2021”. La Russia, ha detto Novak, si attende che nel 2024 il prezzo del Brent si collochi tra gli 80 e gli 85 dollari al barile (oggi a 80,5 dollari, ndr).

Il vicepremier ha sottolineato come, nonostante le sanzioni, “il complesso settore energetico e petrolifero russo si sia sviluppato con successo nel 2023”. Ora, ha detto, molti Paesi vogliono acquistare prodotti petroliferi russi in America latina, in Africa e nell’Asia-Pacifico. I guadagni dell’export di gas e petrolio sfiorano nel 2023 i 9.000 miliardi di rubli (circa 86 miliardi di euro), quasi lo stesso livello del 2021, prima dell’invasione dell’Ucraina. Per la Russia l’industria degli idrocarburi rappresenta il 27% del Pil totale e la loro vendita all’estero rappresenta il 57% delle esportazioni totali della Federazione russa, ha infine affermato Novak. La Russia è il terzo produttore di petrolio al mondo, dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita, con 10,8 milioni di barili al giorno di cui gran parte destinati all’export. È il settimo paese al mondo per riserve (108 miliardi di barili).

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