I soldi sono sempre tanti: 315 milioni di euro versati dallo Stato allo sport nel 2023. Ancora per tutti: Federazioni, enti di promozione, discipline grandi e piccole. Il modello italiano che cerca di non lasciare indietro nessuno e che ha fatto, nel bene e nel male, la storia del nostro Paese. Ma d’ora in poi non per tutti allo stesso modo: la novità dell’assegnazione dei contributi sportivi 2023 da parte della società governativa Sport e Salute è che, per la prima volta dopo anni di puro assistenzialismo, c’è qualcuno che perde. Il calcio (-300mila euro) e gli altri sport meno meritevoli subiscono un taglio fino un massimo del 5%. Ed è solo il primo passo di una rivoluzione meritocratica che, come può anticipare il Fatto.it, nei prossimi anni potrebbe portare a sforbiciate addirittura del 25% per le Federazioni “sprecone”, per premiare di più quelle virtuose.
La classifica: chi festeggia e chi paga – Subito prima di Natale il cda di Sport e Salute, la società governativa che dal 2018 gestisce la cassa dello sport al posto del Coni di Malagò, ha dato il via libera alla ripartizione dei fondi statali al movimento. Le cifre sono quelle attese: 280 milioni di finanziamento ordinario, a cui si aggiunge per effetto della riforma Giorgetti (che destina risorse incrementali fino al 32% delle entrate fiscali del settore) un tesoretto di una cinquantina di milioni. La partecipata presieduta da Marco Mezzaroma e diretta dall’amministratore delegato Diego Nepi ha pubblicato oltre 60 pagine di dati e numeri per spiegare i criteri di assegnazione. Le risorse stavolta sono state suddivise in due “round”: il primo, per un totale di 265 milioni, ha seguito le metriche vecchie, il famoso “algoritmo” che premia per il 60% le prestazioni (medaglie, titoli, qualificazioni), per il 30% i numeri dell’attività sportiva (tesserati, società, ecc.) e per il 10% l’efficienza gestionale. Con una differenza, però: negli ultimi anni, causa Covid, il governo aveva deciso di introdurre un meccanismo di solidarietà affinché le Federazioni, già provate dalla pandemia, non potessero incassare meno dell’anno precedente. Stavolta il “floor” è passato da 0 a -5%, dunque è stato possibile perdere, per quanto in maniera limitata. Poi il secondo “round”, altri 15 milioni distribuiti in base a logiche tutte meritocratiche, dalla produttività della struttura al sostegno all’attività (come eventi sportivi o funzionamento dei centri tecnici). Risultato: festeggiano atletica (+2 milioni, pari al 16,8%), pallavolo (+13%), tennis (+12%), pesistica, taekwondo, per effetto dell’aumento delle risorse quasi tutti guadagnano. Ma c’è anche chi perde: il calcio appunto, che non qualifica la nazionale alle Olimpiadi da tempo immemore, segna -300mila euro, pari comunque solo all’1% in meno; la peggiore in assoluto è il tiro a volo con -3,7% (circa 270mila euro).
L’anticipazione: in futuro tagli fino al 25% – Messa così sembrano spiccioli, piccoli aggiustamenti di sistema (che comunque qualche naso sotto Natale l’hanno fatto storcere: pare che in Figc non siano stati particolarmente felici del trattamento). La vera rivoluzione, però, sta in ciò che non è scritto apertamente ma si intuisce fra le righe del documento di Sport e salute: il cambiamento di quest’anno è solo il primo passo di un percorso che, se i vertici avranno il coraggio di portare fino in fondo, potrebbe diventare una rivoluzione. IlFatto.it può anticipare che il floor, cioè il taglio massimo per le Federazioni meno virtuose, è destinato ad aumentare: -10% l’anno prossimo, poi -15%, fino a raggiungere il -25% nei prossimi anni. E allora sì che le cifre diventerebbero importanti. A pagare dazio saranno non solo quelli che hanno avuto una stagione storta (l’idea è alleggerire l’incidenza dei risultati), ma soprattutto le Federazioni “sprecone”.
Nel mirino sprechi e patrimoni – L’obiettivo è premiare invece chi veicola davvero il denaro pubblico verso l’attività sportiva, valorizzando ad esempio parametri come il rapporto tra costo di funzionamento e tesserati attivi. Non sempre è così: come rivela il report di Sport e Salute, in media il 70% dei contributi erogati alle Federazioni è destinato alla spesa sportiva; può sembrare una percentuale alta ma bisogna ribaltare la prospettiva, significa anche che un euro su tre sborsato dallo Stato non finisce al movimento ma va ad ingrassare i soliti carrozzoni federali. Nel mirino c’è anche l’eccessiva patrimonializzazione: ci sono Federazioni con in cassa addirittura 90 milioni di euro, come nel caso della FederCalcio, o 45 milioni del tennis; Sport e Salute si chiede se, avendo così tante riserve inutilizzate, abbiano davvero bisogno di denaro pubblico (a Gravina e Binaghi saranno fischiate le orecchie). Più in generale, per il futuro l’intenzione è imporre un modello per cui gli obiettivi a medio termine vengono fissati prima, i contributi erogati dopo sulla verifica del loro raggiungimento, per vigilare davvero su come le Federazioni – che formalmente sono private ma in molti casi campano sulle spalle dello Stato (circa un terzo delle FSN presenta un livello di dipendenza dai contributi pubblici superiore al 70%) – spendano le risorse dei contribuenti. Questa sarebbe la vera rivoluzione. Più merito, meno assistenzialismo. I soldi a chi se li è guadagnati davvero, dentro e fuori dal campo. In fondo, non è questo lo spirito dello sport?