“In prigione, in prigione!”, cantava Edoardo Bennato nel suo concept album che attraverso la storia di Pinocchio si rivolgeva a tanti aspetti della società. Tutti quanti in prigione, “sì anche tu in prigione, e che ti serva da lezione!”. Si potrebbe riassumere con queste poche parole un anno e più di governo Meloni. Guardandoci indietro e tentando un bilancio dell’anno che va finendo, vediamo tanto impegno profuso, decreto legge dopo decreto legge, nell’introdurre nuove fattispecie di reato, nell’innalzare le pene, nell’aumentare gli strumenti del controllo. Affinché non resti fuori proprio nessuno: tutti quanti in prigione!
E quindi in prigione ci dobbiamo mandare quelli che organizzano i rave party, e quelli che detengono modiche quantità di hashish, e ovviamente quelli che non hanno un tetto e dormono alla stazione, e anche i minorenni che frequentano luoghi proibiti della città, e le donne incinte che non possono aspettare a scontare la pena neanche di fronte all’interesse del bambino, e quelli che organizzano manifestazioni, e per coloro che invece sono detenuti e quindi in prigione già ci stanno allora allunghiamo le pene se oppongono una resistenza pacifica agli ordini. Tutti devono rimanere in prigione.
E dunque in questo clima il risultato si vede forte e chiaro: il numero dei detenuti è ormai superiore a 60.100 unità, per un totale di posti letto ufficiali inferiore a 51.300. Nella realtà, come constatiamo quotidianamente quando andiamo a effettuare le visite alle carceri con l’Osservatorio di Antigone, i posti disponibili sono varie migliaia in meno. Le sezioni chiuse per manutenzione e tuttavia conteggiate nel numero complessivo sono infatti moltissime. La popolazione detenuta cresce sempre più velocemente e l’attuale tasso di crescita è allarmante. Nell’ultimo trimestre i detenuti sono aumentati di quasi 1.700 unità. Nel trimestre precedente di 1.200. In quello ancora precedente di 911. Nel corso del 2022 raramente si è registrata una crescita superiore alle 400 unità a trimestre.
Se la crescita rimarrà a questi livelli – e non si vede perché non dovrebbe, viste le premesse – tra un anno saremo oltre le 67.000 presenze, come ai tempi della condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. C’è da aspettarsi che tale crescita acceleri ulteriormente e che a quei numeri si arrivi ancora prima. In alcune carceri la situazione è ormai estrema. A Brescia Canton Monbello l’affollamento è al 200%, a Foggia al 190%, a Como al 186%, a Taranto al 180%. Numeri che rispecchiano condizioni già invivibili e che nei prossimi mesi sono destinate a peggiorare.
Le visite di Antigone dell’ultimo anno ci dicono che il 31,4% delle carceri visitate è stato costruito prima del 1940, la maggior parte addirittura prima del 1900. Nel 10,5% degli istituti visitati c’erano celle non riscaldate mentre nel 60,5% c’erano celle dove non era garantita l’acqua calda. Nel 53,9% degli istituti visitati c’erano celle senza doccia, nel 25% non c’è una palestra e nel 22,4% non c’è un campo sportivo.
In 68 hanno deciso di togliersi la vita in carcere dall’inizio dell’anno, di cui 15 avevano meno di trent’anni. Le persone in carcere vivono ammassate in celle che sono spesso chiuse per venti ore al giorno. Si cucina nell’unico spazio non occupato dalle brande, quello del bagno. Il water è a pochi passi. La piccola finestrella va tenuta sempre aperta, nel tentativo di mitigare gli odori. “A volte mentre cucini”, ci raccontano, “arriva qualcuno che ti dice: ehi, mi fai andare in bagno?? Ma io devo girare il sugo. Vabbè, vai, tanto mi giro di spalle”.
E per questo 2023 dalle galere italiane è tutto. Vedremo nel 2024 dietro quali altri reati, pene, pugni di ferro nasconderanno la totale incapacità governativa.