Come il coraggio anche l’eleganza, se uno non ce l’ha, mica se la può dare. E desolatamente inelegante è il titolo con cui il direttore Matteo Renzi apre il suo giornale Il Riformista. “Povero Conte” sono le due parole a grossi caratteri che compaiono sopra alla foto del leader del Movimento 5 Stelle. “Ha una dichiarazione da indigente ma si atteggia da nuovo Trump”, si legge subito sotto. Il riferimento è alle dichiarazioni dei redditi che parlamentari e senatori sono tenuti a rendere pubbliche. Quella del 2022 di Conte si è fermata ad un imponibile di 24.359 euro, la cifra più bassa di palazzo Madama. Invece Renzi svetta come paperone del Senato, grazie a redditi per 3,2 milioni di euro. Come diceva qualcuno: “meno ho, più sono” e, a quanto pare, viceversa.

La cifra che dichiara il leader 5 Stelle è comunque al di sopra di quella media di tutti i contribuenti italiani che si attesta tra i 22mila e i 23mila euro. Sono ben 20 di milioni i contribuenti che guadagnano di meno e a cui Renzi affibbia l’epiteto di “indigenti”. In realtà la soglia di povertà o indigenza a cui allude Renzi è un po’ più bassa, seppur non di moltissimo. Cifre che dimostrano l’esiguità delle retribuzioni italiane (invariate durante il governo Renzi) e che l’ex presidente del Consiglio, tra l’altro sostenitore e promotore dell’abolizione del Reddito di Cittadinanza che ha salvato un milione di famiglie dall'”indigenza”, dovrebbe conoscere bene.

Conte ha peraltro spiegato che di non aver percepito alcun reddito per buona parte del 2022, “Perché da inizio 2021, quando mi sono dimesso da presidente del Consiglio, ho svolto attività politica con il Movimento 5 Stelle e dal Movimento non ho chiesto né ricevuto nessuna retribuzione, indennità o gettone di presenza”. Conte ha aggiunto: “Sono in aspettativa come professore ordinario dell’Università di Firenze e quindi non percepisco lo stipendio. Quanto alla professione di avvocato, per evitare conflitti di interessi fra le mie battaglie politiche e le mie attività di professionista ho preferito astenermi da qualsiasi attività professionale e autosospendermi dall’Albo degli avvocati di Roma. Subito dopo aver terminato la mia esperienza di Presidente del Consiglio mi sono stati offerti svariati incarichi professionali, ma li ho rifiutati”. Poi parole che dovrebbero lenire le preoccupazioni di Renzi per il collega “Ho fatto voto di povertà? No. Per fortuna la mia lunga carriera di professore e di avvocato mi ha permesso – e mi permette, con i risparmi accumulati – di condurre una vita agiata”

A differenza di Conte, Matteo Renzi non si è mai fatto troppi problemi a sovrapporre incarichi di vario genere alla sua attività politica. A volte suscitando legittime perplessità sulla sua collaborazione con governi e governanti stranieri, mentre da parlamentare contribuisce alle scelte politiche italiane e ha accesso a informazioni delicate. Il più noto è lo stretto legame che Renzi ha con il principe saudita Mohammed bin Salman, ritenuto, tra le altre cose, il mandante dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 nell’ambasciata saudita in Turchia. Oltre a intervenire, dietro compenso, a molte conferenze ed eventi che si tengono a Riad, Renzi siede nel board Future investment initiative (Fii Institute), fondazione presieduta dal ricchissimo principe ereditario saudita. Sta di fatto che negli ultimi anni i ricavi di Renzi sono decollati. Nel 2020 dichiarava al fisco poco più di un milione di euro, due anni dopo più del triplo. Solo nel corso del 2022 i suoi introiti sono saliti di 600mila euro. Come per molti ex premier, da Tony Blair a Bill Clinton, l’attività di conferenziere (e un agenda telefonica con i numeri di quelli che contano) frutta fior di quattrini, al punto che ora Renzi ha trasformato la sua società di consulenza Mare Consulting in una holding di partecipazioni.

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