Fino all’età di 11 anni il bambino camminava a carponi, ora finalmente ha potuto sperimentare la gioia di stare in piedi. Una conquista resa possibile dall’equipe di medici dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Una storia di sofferenza perché la patologia con cui il bambino ha dovuto fare i conti, fin dalla nascita, è l’osteogenesi imperfetta o “malattia delle ossa di vetro”.
Che cos’è l’osteogenesi imperfetta
Siamo di fronte a una patologia genetica dovuta a un’alterata sintesi del collagene di tipo 1 che è il substrato del tessuto connettivo alla base delle ossa che in questo caso le rende estremamente fragili. “La malattia si suddivide in tipo 1 con presenza di fratture minori che possono anche all’inizio passare inosservate, fino al tipo 2 e 3 in cui si verificano fratture multiple, anche prima della nascita”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Giovanni Beltrami, responsabile dell’ortopedia e traumatologia pediatrica del Meyer, che ha guidato l’intervento. “L’incidenza della malattia è di 1 caso su 20mila-30mila nati”.
Professor Beltrami, qual era la situazione clinica del bambino?
“Il bambino, di 11 anni, è arrivato da noi con una grave deformità agli arti inferiori che presentavano una curvatura a forma di sciabola che gli aveva reso impossibile muoversi in posizione eretta. Se infatti non si interviene in tempi brevi, queste fratture tendono a deformare gli arti, soprattutto a livello di tibia e femore. Di fatto, i piccoli pazienti che soffrono di questa malattia devono essere indirizzati subito in un percorso terapeutico, anche se in alcuni casi i risultati saranno più efficaci intervenendo a un’età maggiore. Occorre sempre tenere conto infatti delle caratteristiche specifiche della persona”.
L’operazione chirurgica
Come siete intervenuti?
“Uno degli elementi specifici del nostro intervento è l’approccio multidisciplinare. Abbiamo costituito un gruppo di specialisti che si sono occupati della parte genetica e metabolica fino a quella chirurgica e di riabilitazione. Dopo avere eseguito una tac in 3d abbiamo avuto un’idea più precisa delle deformità ossee. Successivamente ci siamo ‘allenati’ su modelli a grandezza naturale delle ossa deformi del bambino, ottenuti con la stampa 3D del laboratorio congiunto T3Ddy. In questo modo abbiamo simulato la ricostruzione dei segmenti ossei deformi per capire il tipo di chirurgia da eseguire e progettare la ricostruzione successiva. L’operazione è consistita in 4 interventi nei quali abbiamo eseguito delle osteotomie (tagli mirati dell’osso) che hanno raddrizzato le gambe del piccolo. Inoltre, abbiamo utilizzato chiodi telescopici allungabili per accompagnare la crescita del paziente e consentire in questo modo all’osso di svilupparsi linearmente. Abbiamo così dato al bambino una nuova possibilità di vivere potendo stare in piedi, seppur con l’aiuto delle stampelle, ma dovrà essere seguito per tutta la vita da un pool interdisciplinare per accompagnarlo durante l’evolvere della malattia”.
Che cosa potete fare per rendere i risultati dell’intervento stabili nel tempo?
“Sulla fragilità si può intervenire con cure metaboliche, farmaci che migliorano la componente minerale dell’osso e ne stabilizzano la struttura. Con la possibilità di altri interventi chirurgici fino ad arrivare al completamento dello sviluppo del paziente”.
È anche previsto un supporto psicologico?
“Sì, con l’obiettivo da fare accettare al piccolo paziente, da un lato, la malattia e, dall’altro, cercare di superarla. Occorre che il bambino comprenda che si può cambiare prospettiva di vita, grazie alla possibilità di poter muovere i primi passi e, anche se non abbiamo certezze assolute, riuscire a raggiungere una sua autonomia”.