Tradizionalmente nei paraggi di Capodanno si è soliti tracciare un bilancio dei dodici mesi precedenti. Ebbene, a voler rendicontare l’impegno del governo nella lotta alla corruzione nel corso del 2023 si fa prestissimo: è nullo. Non risulta che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia mai toccato il tema in nessuno dei suoi interventi pubblici – l’ultima volta che è intervenuta in tema di mazzette era nel dicembre 2022, in relazione al cosiddetto Qatargate, per chiedere “che sia fatta piena luce su quello che sta accadendo, perché i contorni sono abbastanza devastanti” – devastanti solo per il Partito Democratico, ovviamente.

Nessun commento della Presidente del Consiglio ha accompagnato gli arresti o il coinvolgimento in inchieste per fatti corruzione di esponenti di rilievo del suo partito, dall’eurodeputato che patteggia all’ex capogruppo regionale campano, dalla candidata alle regionali siciliane ad alcuni esponenti di rilievo di Fratelli d’Italia nel catanese.

Il MinCulPop a reti unificate sembra aver decretato che di corruzione in Italia non si deve parlare, presumibilmente in quanto il fenomeno è stato virtualmente sconfitto dalle virtù e dall’abilità dei manovratori governativi – che dunque non devono essere disturbati dalle Cassandre di turno. Al punto che, quando il Presidente dell’Autorità Anticorruzione si è permesso di formulare una sommessa critica ai potenziali effetti criminogeni della riforma degli appaltiche il ministro delle infrastrutture si è orgogliosamente intestato come “codice Salvini” – subito è stato rampognato da vari esponenti della maggioranza, che ne hanno addirittura invocato le dimissioni: “non può stare più in quel ruolo” chiunque osi esprimere dissenso o preoccupazione in tema di integrità della vita pubblica.

Nel corso del 2023 un solo provvedimento ha inciso nella cornice istituzionale dell’anticorruzione. Non scaturisce però da un’iniziativa del governo o della sua maggioranza, bensì da un impulso europeo: una direttiva del 2019, ratificata dal consiglio dei Ministri nel dicembre 2022, a sole 24 ore dalla sua scadenza, e poi trasformata in legge nel marzo 2023. Finalmente si è un rafforzata la protezione di quegli individui che segnalano, tanto nel settore pubblico che in quello privato, i potenziali illeciti di cui siano stati testimoni: si tratta dei whistleblowers – letteralmente “soffiatori nel fischietto”, meglio utilizzare il termine inglese perché le possibili traduzioni in italiano assumono inesorabilmente un connotato dispregiativo. Già, ma a chi verrà mai in mente di “soffiare nel fischietto” puntando il dito sul malaffare con questi chiari di luna?

Tutte le raccomandazioni del rapporto europeo sullo stato del Rule of Law in Italia sono rimaste inevase. Nessuna nuova norma è andata a regolare i conflitti di interesse e l’attività di lobbying, né si istituito un registro operativo per rappresentanti dei gruppi di pressione. Non è stato minimamente affrontata la pratica di canalizzare le donazioni politiche attraverso fondazioni e associazioni, per questa via rendendo opachi i rapporti tra i decisori politici e chi li influenza nell’ombra, né è stato introdotto un registro elettronico unico per le informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali. In compenso, la Commissione incaricata della vigilanza sul finanziamento della politica lamenta ormai da anni, nelle sue relazioni al Parlamento, il persistere di risorse umane e strumentali del tutto insufficienti destinate alle numerose e complesse attività di controllo: impunità pressoché assicurata per la “finanza creativa” dei bilanci di partito.

Se la lotta alla corruzione ristagna, possiamo consolarci con l’abbondanza di provvedimenti – già approvato o in dirittura d’arrivo – che invece rischiano di rinfocolare i circuiti della tangenti. Si è già citato il nuovo codice degli appalti, che nell’attività di contrattazione pubblica, in particolare nella gestione dei generosi fondi del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), accresce “oggettivamente” – in base agli stessi parametri fissati dall’Autorità anticorruzione – il rischio di tangenti. Basti pensare all’innalzamento delle soglie per l’assegnazione diretta di contratti per lavori pubblici, servizi e forniture, senza gara ad evidenza pubblica e dunque senza concorrenza: ben il 98,27% degli appalti – si è stimato – sarà assegnato attraverso decisioni discrezionali o attraverso una procedura negoziata senza bando di gara.

Intanto procede spedito l’iter di approvazione della proposta di legge di riforma del codice penale, fortemente sponsorizzata dal Ministro della giustizia Nordio e dal governo intero, che comporterebbe l’abolizione tout court del reato di abuso d’ufficio (ossia uno di quei pochi “reati sentinella”, indagando i quali a volte i magistrati vanno a cogliere indizi di mazzette); la riformulazione del reato di “traffico di influenze illecite”, ossia l’intermediazione dei tanti e vari faccendieri, che ridurrebbe drasticamente il suo campo di applicazione; la modifica della normativa sulle intercettazioni, che ridurrebbe la possibilità per i pubblici ministeri di utilizzarle e divulgarle – nel frattempo si è già provveduto con un blitz parlamentare a mettere un bavaglio alla pubblicazione dei contenuti delle ordinanze d’arresto.

Un’altra proposta di legge, che ovviamente ha ricevuto il parere favorevole del governo, reintrodurrebbe la prescrizione dei reati anche dopo il primo grado, aumentando le difficoltà nel perseguire anche i casi di corruzione. Sempre più in bilico il possibile utilizzo dei “captatori elettronici” (i cosiddetti trojan) nelle indagini per reati di corruzione, dopo che la maggioranza di governo nella Commissione Giustizia del Senato ha approvato un report – calorosamente salutato dal Guardasigilli – che “raccomanda” all’esecutivo di vietarli.

Se l’Autorità anticorruzione è messa all’angolo e la repressione penale dei reati di corruzione è sotto attacco, non se la passano meglio i controlli contabili della corte dei Conti. Dopo la stretta che nel corso del 2023 ha eliminato i “controlli concorrenti” (quelli in itinere) su tutti i programmi e gli appalti finanziati coi fondi Pnrr, già si prospetta un altro intervento ancora più restrittivo: contro la sedicente “paura della firma” del funzionario, un disegno di legge governativo di fatto rende sempre più remoto per i decisori pubblici il rischio che siano chiamati a rispondere degli sprechi di fondi pubblici, causati da tangenti o altro.

In sintesi, dal governo e dalla maggioranza di estrema destra che lo sostiene sembra giungere un caloroso augurio di buon 2024, indirizzato selettivamente a corrotti, corruttori e aspiranti tali.

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