“Ho accettato il programma di protezione, prendo un sussidio. La mia famiglia no, non ha voluto seguire la mia scelta, nemmeno mia madre”. Sono le parole di Raffaele Imperiale, il boss dei Van Gogh. Il 7 ottobre 2022, quando decise di fare il grande salto e pentirsi, aveva messo un paletto proprio su questo punto. Mise a verbale, davanti ai pm anticamorra di Napoli Maurizio De Marco e Giuliano Caputo, e al procuratore reggente Rosa Volpe, questa dichiarazione: “Nonostante la mia intenzione di collaborare con la giustizia, allo stato non intendo ricorrere ad un programma di protezione né ad intraprendere una collaborazione nelle forme della legge sui collaboratori di giustizia, quanto meno allo stato”.

Ma è passato più di un anno. Imperiale ha reso altri verbali illustrativi, ha incassato una condanna per associazione camorristica nel clan Amato-Pagano, ha visto iniziare i processi che lo vedono imputato di essere stato il signore di un cartello di narcotrafficanti internazionali, del quale tesseva le fila da Dubai. Uno dei suoi presunti complici, Giovanni Fontana, ha scelto il rito ordinario e poche ore fa il boss dei Van Gogh si è connesso dal carcere di Rebibbia per testimoniare, come indagato di reato connesso, sulla posizione dell’imprenditore dei trasporti e della logistica.

Fontana è accusato – è tuttora in carcere da 13 mesi – di aver detenuto 600 chilogrammi di cocaina per conto del ‘cartello’ di Imperiale, e di aver materialmente organizzato la spedizione in Australia di questi panetti di droga, tra la fine del 2020 e il gennaio 2021. Sarebbe stato ricompensato con 500mila euro. Era previsto un ulteriore bonus di 100mila euro ‘salvo buon fine’. Che non c’è stato: il carico di droga, camuffato come esportazione di pietre di porfido di una ditta di Licola, andò disperso. Probabilmente, ha affermato Imperiale in aula, fu trafugato da alcuni amici di ‘Mark’, il ‘socio’ australiano dei narcos.

Rispondendo ai difensori di Fontana, gli avvocati Mario Griffo e Giovanni Cantelli, Imperiale ha chiarito di essere entrato nel programma di protezione dal quale sta collaborando con le procure di mezza Italia e di parte dell’Europa che a turno chiedono di sentirlo sui segreti del narcotraffico internazionale e su fatti di cronaca criminale del territorio napoletano e salernitano. A una domanda degli avvocati sui dettagli del presunto pagamento di mezzo milione di euro a Fontana – come è avvenuto, chi glieli avrebbe consegnati – Imperiale ha dato una risposta che fa intuire le dimensioni degli affari del narcotraffico: “Non lo ricordo, non posso saperlo: per il cartello da me comandato, 500mila euro erano una somma di poca importanza, se ne sono occupati i miei uomini”.

A tenere i conti per il cartello era Daniele Ursini, stipendiato a 20mila euro al mese. Negli appunti di contabilità rinvenuti dopo le misure cautelari, ce n’era uno relativo alle spese personali di Imperiale a Dubai nel primo trimestre 2021, poco prima di essere arrestato dalle autorità locali. Erano ammontate a 7 milioni. “Non di euro, però – ha chiarito il boss dei Van Gogh – erano 7 milioni in moneta emiratina, pari a 1.750.000 euro”. Poco meno di 600mila euro al mese.

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