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Responsabilità è una parola che Benjamin Netanyahu non riesce a pronunciare

Responsabilità è una parola che Benjamin Netanyahu non riesce a pronunciare. All’indomani del 7 ottobre, intorno a lui tutti si sono assunti la propria responsabilità: il capo di Stato Maggiore, il capo dello Shabak (i servizi segreti interni), il capo dell’intelligence dell’esercito, il generale responsabile del fronte sud del paese. Tutti loro hanno dichiarato che era colpa loro se quell’attacco non è stato evitato.

Netanyahu, invece, non solo non si è assunto le proprie responsabilità, ma all’una e dieci di notte del 23 ottobre ha twittato un messaggio contro i capi dell’esercito, tweet in cui sosteneva di non essere mai stato avvisato di un possibile attacco e che chi gli avrebbe dovuto riferire non lo ha fatto. La mattina dopo, spinto dalle critiche di Beni Ganz e di tutta l’opposizione, il premier l’ha cancellato usando la tecnica che usa da anni: prima infangare un avversario, che sia un generale o un giudice, poi chiedere scusa e cancellare. Intanto però i messaggi viaggiano in rete e il bacino dei suoi sostenitori continua a farlo girare su diverse piattaforme.

È doveroso ricordare ai lettori che Netanyahu è il leader israeliano che ha permesso a 30 milioni di dollari in contanti dal Qatar, quasi ogni mese, di arrivare nelle mani di Hamas. Normalmente importi di tali entità passano dal conto bancario di uno stato al conto di un altro stato o autorità governativa – certamente non dati in contanti. Ma se Hamas aveva bisogno di pagare per armi, missili e materiale per costruire l’immensa rete di tunnel, era meglio pagare in contanti, senza lasciare traccia. Cash, appunto.

L’ex capo del Mossad, Yossi Cohen, nelle ultime settimane e financo negli ultimi giorni ha ripetuto di aver avvisato Netanyahu e tutto il governo che questi soldi venivano usati da Hamas per riarmarsi e compiere atti di terrorismo e che si doveva fermare questo flusso di denaro senza traccia. Netanyahu quindi sapeva benissimo che Hamas impiegava i soldi del Qatar per piani molto poco umanitari, piani che con il bene degli stessi abitanti di Gaza non avevano niente a che fare.

Un ulteriore fatto – scioccante e clamoroso – è uscito in queste settimane: la testimonianza filmata e registrata nel 2019 in cui davanti a una commissione della Knesset (il parlamento) il premier israeliano descrive fase per fase l’attacco che Hamas ha poi compiuto il 7 ottobre 2023. Il premier “che non sapeva nulla” afferma: “il piano operativo che Hamas prepara è un attacco da diversi lati, prima dall’aria con migliaia di missili lanciati su Israele, poi dal mare con attacco di commando di truppe speciali di Hamas, poi dall’aria con deltaplani, usando sottoterra decine dei tunnel che sbucano sul territorio israeliano e portano unità speciali allenate per questa missione, e si tratta di migliaia, per uccidere gli abitanti dei kibbutz e delle città vicine al confine e rapire ostaggi e portarli dentro la Striscia”.

Chi ha visto i filmati dell’attacco di Hamas si può rendere conto che il premier israeliano ha saputo descrivere l’assalto senza precedenti di Sinwar Yahya e dei capi di Hamas, con 4 anni di anticipo. Lo scorso 23 dicembre il Corriere della Sera ha pubblicato la notizia documentata – per voce di Yigal Carmon, ex consigliere di Rabin – su presunti aiuti milionari a due campagne elettorali del premier. La fonte sono ex agenti dello spionaggio Usa reclutati dagli Emirati Arabi Uniti.

Netanyahu e il suo entourage tuttavia, nonostante tutte queste testimonianze, continua ad accusare l’esercito e i servizi segreti interni come gli unici responsabili della sciagura militare del 7 ottobre 2023. In Israele – questo il lettore non lo sa – esiste il canale televisivo 14: in apparenza un canale televisivo qualunque, in realtà ogni sera trasmette propagande pro premier in cui vengono accusati alti funzionari militari, che tra l’altro si sono assunti le loro responsabilità e si dimetteranno appena la guerra sarà terminata. Un canale tv che si occupa solo di questo tipo di trasmissione e i permessi di operare così poco democraticamente sono stati dati dai governi Netanyahu.

È importante ricordare che questo leader politico governa Israele da più tempo di ogni altro primo ministro del paese, incluso Ben Gurion. Indebolire l’Autorità Palestinese e rinforzare Hamas è una strategia che dura da almeno 15 anni: la prima è corrotta e debole e perciò non deve avere accesso a uno stato, la seconda è un’organizzazione fondamentalista che persegue la distruzione dello stato ebraico e perciò non si deve negoziare nemmeno con loro.

Va detto che Netanyahu ha invece una lunga tradizione di trattative con Hamas per la liberazione di ostaggi, anche prima di questa guerra (vedi il caso Shalit, un soldato per il quale ha liberato 1.000 detenuti di Hamas tra qui Sinwar, ma in questi giorni si fa molto meno per liberare donne, bambini e anziani rapiti e tenuti a Gaza.)

Non so quanto tempo durerà questa guerra. Le pressioni americane per mettere fine ai livelli di violenza cui siamo testimoni in queste settimane sono sempre più forti e Israele sarà costretta, già a gennaio, a diminuire notevolmente la forza impiegata e la morte di civili non armati nella striscia di Gaza. Temo che l’interesse dell’attuale governo sia prolungare la guerra per evitare le commissioni di inchiesta, le manifestazioni contro i responsabili di questa tragedia, la richiesta di indire nuove elezioni.

È importante sapere che anche in queste settimane, addirittura in questi giorni, il premier israeliano e il suo ministro del tesoro, l’estremista Smotrich, passano ingenti somme ai partiti della coalizione di estrema destra; il ministero della signora Strook ha appena ricevuto centinaia di milioni di shekel per cose che con un paese in stato di guerra c’entrano poco. Strook è il ministro per i coloni, per la colonizzazione e le imprese nazionali, un ministero inventato dal nostro premier proprio per questa coalizione di ultra destra.

Le manifestazioni contro i tentativi di rendere Israele una dittatura tipo Orban paiono un lontano ricordo, ma non è così per il governo attuale. I tentativi di indebolire la Corte Suprema, la democrazia israeliana, sono continuati anche nei mesi di guerra. Personaggi come il ministro della Giustizia Levin, esperto della Knesset come Rothman e ovviamente soggetti politici come il ministro Ben Gvir e Smotrich non hanno mai rinunciato a un governo senza freno legislativo.

I piani per il dopoguerra sono chiari, almeno per gli americani e l’Europa unita: due stati per due popoli e la eliminazione di Hamas come protagonista nella vita politica palestinese.

Ben Netanyahu sapeva molto per dichiarare che non sapeva niente. La parola di cui ha paura, “responsabilità”, ha una etimologia affascinante, richiede di dare risposte e Netanyahu, anche per rigore etimologico, ne dovrà dare al suo popolo, alle commissioni d’inchiesta, agli americani. In poche parole, dovrà cominciare ad essere responsabile.