L’Italia è l’unico grande Paese europeo rimasto senza una legge quadro sul clima, sempre da anni si aspetta un testo sul consumo di suolo e l’approvazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (che sarebbe dovuta avvenire entro il 2023) con lo stanziamento delle risorse per attuarlo. Tra affermazioni e prese di posizione negazioniste sul cambiamento climatico, ci sono leggi, decreti attuativi, misure che non sono state adottate neppure nel 2023. È così si allunga sempre più la lista di provvedimenti che ci si aspetta nel 2024. Nel frattempo, però, gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più devastanti. Come raccontato dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente, tra alluvioni, frane, mareggiate, grandinate e temperature eccezionali, in Italia nel 2023 si sono registrati 378 eventi meteorologici estremi, con un aumento del 22% rispetto allo scorso anno. Una delle prime sfide del 2024, sarà la modifica del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, in base alle osservazioni recentemente pubblicate dalla Commissione Ue, che ha criticato diversi aspetti del testo presentato dal Governo Meloni. Per esempio su riduzione delle emissioni, addio alle fonti fossili e adattamento. Sul fronte delle rinnovabili, poi, per il nuovo anno sono attesi il decreto per le Aree idonee e i decreti attuativi delle Comunità energetiche. Per non parlare di quelli della Legge Salvamare senza i quali questo testo continua a essere una scatola vuota.
Tra le prime sfide del 2024, le modifiche al Pniec – Ora, c’è un’altra scadenza improrogabile. Quella del definitivo Piano nazionale per l’energia e il clima che dovrà essere presentato entro il 30 giugno 2024 dall’Italia e dagli altri Paesi europei. Lo richiede il regolamento sulla governance dell’Unione europea del 2018: gli Stati erano già tenuti a presentare le bozze aggiornate entro giugno 2023. Recentemente la Commissione Ue ha pubblicato la sua valutazione dei piani presentati e, anche per l’Italia, ha presentato diverse osservazioni. A iniziare dal fatto che la penisola, insieme a Croazia e Slovacchia, ha deciso di aumentare la produzione nazionale di gas naturale e, insieme a Francia e Germania, è tra i Paesi che più sostengono l’industria dei veicoli alimentati dai combustibili fossili. L’Italia, poi, è tra le sette nazioni che hanno posticipato l’impegno per l’uscita definitiva da tutti i combustibili fossili, insieme a Croazia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria e Slovacchia. E la Commissione si chiede quali saranno le conseguenze di queste scelte sui piani di riduzione delle emissioni.
Il cambio di rotta sulle rinnovabili. Tuttora penalizzate – Vengono valutati positivamente i target sulle rinnovabili (l’Italia punta al 40,5% nel consumo finale lordo di energia), mentre restano i dubbi sulle strategie per raggiungerli, a iniziare dalla velocizzazione dei processi autorizzativi. A riguardo è atteso il decreto sulle aree idonee, la cui bozza è stata trasmessa alla Conferenza Unificata Stato-Regioni, nonché i decreti attuativi per le comunità energetiche. Ed è slittato ad agosto 2024, con un rinvio di otto mesi, anche il Testo unico sulle autorizzazioni alle rinnovabili. Nel frattempo, come ricorda un documento di Alleanza Verdi Sinistra, “l’introduzione di nuove tasse, tra cui una tassa di 10 euro per ogni kW di potenza installata per i prossimi tre anni e una tassa di diritto di superficie sugli impianti da rinnovabili, rappresenta un attacco diretto a un settore fondamentale per la transizione ecologica”. Nel frattempo, il Governo Meloni ha scelto di non applicare la tassa sugli extraprofitti delle compagnie Oil&Gas, introdotta dal Governo Draghi “perdendo l’opportunità di incassare circa 8,4 miliardi di euro”. E ora, con l’articolo 6 del Decreto Anticipi “si introduce uno sconto per le società energetiche di 450 milioni di euro”.
Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici – Altra sfida riguarda il più volte annunciato Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Caduto il Governo Gentiloni, ormai sei anni fa, il documento era rimasto fuori dall’ordinaria amministrazione portata avanti fino a marzo 2018: parzialmente aggiornato rispetto alla versione precedente, il piano è stato poi pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) un anno fa, per essere sottoposto a consultazione pubblica, come era già accaduto nel 2017 e come prevede la procedura di Valutazione ambientale strategica. Il provvedimento, composto di 361 misure, era già stato annunciato per maggio dal ministro Pichetto Fratin e, dopo una serie di rinvii, anche per la fine del 2023. Strategica sarebbe anche una legge contro il consumo di suolo “che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo” denuncia Legambiente. Sul fronte dell’adattamento, qualcosa però è accaduto: circa 1,3 miliardi dei 2,5 miliardi di euro destinati nel Piano di ripresa e resilienza a misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrologico, sono stati rimossi. Sempre Legambiente denuncia poi quanto previsto dalla Legge di Bilancio, che depotenzia il funzionamento del Fondo Italiano per il Clima togliendo la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti e “spostando al 2027 risorse pari a 840 milioni di euro, senza precedere nessun finanziamento per le azioni prioritarie di adattamento, come la delocalizzazione degli edifici residenziali e delle attività produttive costruiti in aree a rischio”.
La legge sul clima e la Strategia sulla biodiversità – Si attende, così, il nuovo anno. Anche perché vada avanti l’iter del Disegno di legge quadro sul clima presentato a ottobre scorso e promosso dalle associazioni ambientaliste Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport&Environment. Come ricorda proprio il Wwf in un bilancio di quanto fatto (e non fatto) nel 2023 sul fronte ambientale, l’Italia si appresta ad entrare nel 2024 senza ancora una Strategia operativa per la conservazione della biodiversità 2020–2030. Una mancanza che si aggiunge allo stallo “nell’individuazione delle aree per lo sviluppo della protezione che dovrebbe andare a coprire, entro il 2030, il 30% del nostro territorio a terra e a mare”. Ma che non meraviglia, data la battaglia che il governo italiano ha ingaggiato contro la Restoration Law e il Regolamento Europeo per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. E, sempre in tema di biodiversità e tutela del territorio, il Governo Meloni ha vietato a novembre la produzione e l’immissione sul mercato della ‘carne coltivata’ andando incontro alle richieste del mondo agricolo, a iniziare da Coldiretti e nelle stesse ore in cui la Commissione Ue annunciava (con il sostegno dell’Italia) il rinnovo per altri dieci anni dell’autorizzazione al pesticida Glifosato poi arrivata a fine novembre. Ciò che, invece, non è arrivata è l’approvazione del Piano Pesticidi, scaduto nel 2019.
Tra ‘Salvamare’ senza decreti attuativi e ‘sblocca trivelle’ – Per quanto riguarda, invece, la tutela del mare, nel decreto Energia, come ricordano Alleanza Verdi Sinistra, ma anche il Wwf – si dà il via libera a nuove trivelle nel Golfo di Sorrento, Venezia, Napoli e Isole Egadi. Al contempo, però, mancano i decreti attuativi della Legge Salvamare, senza i quali questa legge continua a essere una scatola vuota. L’Italia, poi, è in procedura di infrazione per la mancata implementazione di un Piano di Gestione dello Spazio Marittimo (che sarebbe dovuto arrivare entro il 31 marzo 2021) e l’inefficienza nel definire misure di conservazione per i Siti Natura 2000 marini. Il Wwf Italia, insieme a Lipu, Greenpeace e Marevivo, ha inviato tre richieste di partecipazione al processo per il piano ai Ministeri competenti (Mit e Mase) senza ricevere alcuna risposta. “L’Italia non ha ancora presentato alla Commissione Europea i propri impegni e la propria roadmap per arrivare al 30% di mare protetto” scrive il Wwf. Impegni che avrebbero dovuto essere presi entro il 2022.