Prevede che il no dell’Italia alla ratifica della riforma del Mes – con il voto della Lega – comporterà “dei contraccolpi per esempio nel confronto sulla candidatura di Roma a ospitare la sede dell’Autorità antiriciclaggio”. Ribadisce che il nuovo Patto di stabilità, che ha firmato, “non è certamente il meglio possibile ma è un compromesso che tutti abbiamo accettato”. Aggiunge che sarà un male per tutta l’Europa, che nei prossimi anni “affronterà con le mani legate dietro la schiena” la necessità di investire nella transizione digitale e verde “mentre Stati Uniti e Cina ci arriveranno con ben altro slancio”. E smentisce il suo vice Maurizio Leo che sabato si era ottimisticamente detto sicuro che i 15 miliardi necessari per confermare il taglio del cuneo e l’Irpef a tre scaglioni si troveranno senza problemi. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervistato dal Sole 24 Ore, ammette che la strada dell’extradeficit è ormai chiusa e spiega che “i margini ci sono se l’emorragia del Superbonus” – sua bestia nera – “si ferma, altrimenti non ci sono“. Anche se “nella delega fiscale è indicata fra le altre leve” per recuperare gettito “la razionalizzazione delle tax expenditures“, aspetto “magari meno sexy sul piano della comunicazione e del consenso politico” visto che significa scontentare fasce di elettorato.
Tornando sullo psicodramma del Mes, il ministro leghista riconosce che “senza dubbio il fatto di essere l’unico Paese ad aver respinto una riforma che tutti gli altri hanno ratificato non ci mette in una posizione di vantaggio, e temo che ci saranno dei contraccolpi. È nelle cose”. E “il no alla ratifica” è arrivato per “ragioni politiche e non finanziarie”.
Quanto al percorso di aggiustamento imposto all’Italia dal nuovo Patto, su cui Germania e Francia hanno trovato un accordo che ha lasciato il governo Meloni ai margini, Giorgetti rivendica di aver ottenuto “che le spese per la difesa siano considerate un fattore rilevante nella definizione dell’aggiustamento, che ci siano criteri di calcolo più morbidi per altre spese di investimento soprattutto nel periodo 2025-2027 e che il periodo di aggiustamento sia allungato da quattro a sette anni in modo automatico in cambio degli impegni sul Pnrr“. Anche se, stando al testo dell’intesa, si tratterà di una decisione discrezionale della Commissione che richiederà peraltro impegni ulteriori rispetto a quelli assunti con il Piano, che termina nel 2026.
Secondo il ministro comunque le nuove regole “sono meno pesanti di quelle che avremmo avuto se avessimo messo il veto alla Capitan Fracassa, come qualcuno ci consigliava di fare”. E “dare l’idea di non voler rispettare i limiti fiscali non sarebbe stato un gran messaggio per i mercati”. Alla domanda sulla necessità di correggere i contenuti dell’accordo visto che – nota l’intervistatore – “alcuni parametri legati ai saldi strutturali sembrano non coordinarsi con quelli fondati su valori nominali”, il ministro replica che “occorrerà soprattutto molta saggezza nell’applicazione da parte della Commissione europea; perché senza questa saggezza, il risultato più probabile è che fra due o tre anni cominceremo a dire che il Patto riformato non funziona, e quindi a invocare quelle «clausole di fuga» che comunque sono ben presenti anche nelle nuove regole”.
La domanda inevitabile è come il governo riuscirà, il prossimo autunno, a trovare i quasi 15 miliardi necessari per confermare il taglio del cuneo e l’unificazione degli scaglioni Irpef. Qui Giorgetti torna a chiamare in causa il Superbonus, colpevole a suo dire di tutti i mali: “Con il 110% finisce anche quella che ho definito un’allucinazione psichedelica, basata sulla convinzione che con la clausola di fuga dal Patto di stabilità e i tassi a zero si potesse fare debito all’infinito senza poi pagare il conto. Ma non puoi vincere le Olimpiadi dopandoti, perché ti scoprono e soprattutto perché se assumi sostanze poi ne paghi il conto in termini di salute”. Nell’ultimo decreto sulla materia il governo ha previsto una sanatoria per i lavori non conclusi e un aiuto per i nuclei con quoziente famigliare sotto i 15mila euro, ma il fondo da cui andrebbero presi i soldi è quasi vuoto. “Se nel prossimo futuro ci sarà da rimpinguare un po’ il fondo per i redditi più bassi vedremo di farlo, ma abbiamo fatto chiarezza: lo Stato è disposto a fare qualche sacrificio ulteriore solo per le famiglie più in difficoltà, non è interesse di nessuno che i lavori si fermino e sono convinto che non si fermeranno”. Si vedrà.