Sotto il grande ombrello tolkeniano che copre e protegge la destra di Giorgia Meloni c’è un personaggio della popolare saga fantasy del “Signore degli Anelli” che riassume meglio di ogni altro l’anno a Palazzo Chigi della prima donna premier.

Procediamo per sottrazione.

Non si tratta di Frodo, lo hobbit che porta l’Anello del potere per poi distruggerlo. Con Frodo c’è Sam, che lo accompagna nel lungo viaggio alle radici del Male di Sauron. Fu Arianna Meloni a paragonare lei e la sorella Giorgia ai due hobbit, alla vigilia delle elezioni politiche del 2022: “Ti accompagnerò sul Monte Fato a gettare quell’anello nel fuoco, come Sam con Frodo, sapendo che non è la mia storia che verrà raccontata, ma la tua, come è giusto che sia”.

In realtà l’Anello se lo sono tenuto e nel frattempo anche Arianna e il marito ministro Francesco Lollobrigida hanno raccontato la loro storia.

Non Frodo, dunque. E né Eowyn, la principessa di Rohan, innamorata non ricambiata del ramingo Aragorn, altro eroe della saga e che alla fine verrà incoronato re di Gondor. Stavolta, il paragone è di Ignazio La Russa, quando è stata inaugurata a Roma la grande mostra su Tolkien: “Volete sapere a quale personaggio assomiglia Giorgia Meloni? A Eowyn, la principessa che si fa guerriera contro il volere degli uomini e, nella battaglia finale, uccide il cattivissimo signore dei Nazgul”. No, non sembra neanche Eowyn, alla luce di quanto accaduto in questo anno che sta per finire.

E allora chi?

Semplice: Gollum, il mostriciattolo che fa da guida a Frodo e Sam. Ossia il personaggio più ambiguo del Signore degli Anelli. Gollum in origine era Sméagol (un hobbit) e trovò per caso l’Anello di Sauron, che poi gli ha allungato la vita di cinquecento anni. Solo che l’Anello lo ha consumato, condannandolo alla corruzione del fisico e della mente. E quando poi ha scoperto che l’Anello (“il mio tesoro”) è portato da Frodo, ecco venire fuori la sua doppia personalità: Sméagol è la parte buona e servile, disponibile a fare da guida; Gollum quella cattiva, che vuole ammazzare Frodo e Sam per riprendersi il “tesoro”.

Ed è proprio attorno all’ambiguità della sua azione di governo, sovente draghiana qualche volta sovranista, che gira il Ventitré di Giorgia Meloni. La premier versione Sméagol, accomodante, è quella che scorta l’europremier Ursula von der Leyen a Lampedusa (immagine incredibile dopo lustri trascorsi a gridare contro l’Unione europea) oppure sostiene il finto-leghista Giancarlo Giorgetti, ministro draghiano fino alla cima dei capelli nonché vero Coniglio Mannaro della Terza Repubblica, nel nuovo compromesso-capestro sul Patto di Stabilità. Per non parlare poi dell’atlantismo senza se e senza ma sulle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

E’ il realismo, bellezza, altro che fantasy. Compensato però dalla Meloni versione Gollum che fa la guerra ai poveri e ai lavoratori sfruttati (lo stop reddito di cittadinanza e al salario minimo), che va a Cutro costretta dall’emozione di un Paese per i 94 migranti morti e infine diserta (lei, premier donna autodefinitasi con orgoglio “underdog”) le iniziative per Giulia Cecchettin nel segno di una destra che non ripudia il modello patriarcale. Ma il sigillo di Giorgia Gollum è senza dubbio il ritorno della Casta al potere e che adesso vorrebbe pure il premierato per prendersi il 55 per cento dei seggi con neanche il 30 per cento dei voti.

A distanza di più di dieci anni dall’ultimo governo di destra (Berlusconi nel 2011), Meloni è a capo di una coalizione che in questo Ventitré ha accumulato uno scandalo dopo l’altro, e senza alcuna conseguenza: i quadri di Vittorio Sgarbi; le soffiate di Delmastro Delle Vedove; l’assoluzione paterna di La Russa al figlio Leonardo Apache sospettato di violenza; i guai di Santanchè; la fermata ferroviaria ad personam per Lollobrigida, ministro e Cognato d’Italia. Anzi, la reazione sinora è quella di chi vede i magistrati come un nemico pronto a colpire, per dirla con Guido Crosetto, ministro della Difesa. Un riflesso tipicamente berlusconiano.

In ogni caso, dal punto di vista strettamente politico, la premier resta comunque padrona del suo destino, in attesa di capire se il suo ciclo elettorale sarà breve come già quelli dei due Mattei, prima Renzi poi Salvini. Lo snodo sarà quello delle elezioni europee a metà del 2024. Meloni ha senza dubbio il pronostico dalla sua parte, grazie a tre punti forza. Il primo: l’opposizione interna di Salvini non dovrebbe portare la Lega oltre le due cifre, sopra la soglia del dieci per cento; allo stesso tempo i mal di pancia degli azzurri orfani di Berlusconi buonanima non saranno mai letali per la tenuta dell’esecutivo.

E qui veniamo al secondo pilastro del melonismo di lotta e di governo: questa maggioranza al momento non ha alternative, né tecniche di unità nazionale, né di centrosinistra (o Campo largo che sia). Il terzo, infine è il suo carisma, un fattore che pesa eccome nella Terza Repubblica dei partiti personali. Meloni piace sempre tanto al suo elettorato e ha ancora una forte capacità attrattiva. Finanche la separazione dal compagno Andrea Giambruno, ha rafforzato la sua fama di donna diventata “uomo dell’anno”, per citare il surreale titolone di Libero del 29 dicembre scorso. Epperò, a lungo andare, la scissione interiore tra Giorgia Gollum e Giorgia Sméagol rischia di essere logorante e fatale.

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