L’irrealistica regola di riduzione del debito di un ventesimo l’anno, mai rispettata, va in soffitta. Ma i vecchi, ottusi parametri del 3% e 60% tornano in vigore e in aggiunta ne arrivano di nuovi. A volte nemmeno coordinati tra loro, con il risultato che applicarli sarà un rompicapo. Il nuovo Patto di stabilità, che dopo l’intesa politica tra i ministri delle Finanze Ue dovrebbe essere approvato in via definitiva entro aprile, manca gli obiettivi di chiarezza e semplificazione tante volte evocati da Bruxelles durante i negoziati sulla riforma. Criteri in parte arbitrari come il “saldo strutturale“, cioè la differenza tra entrate e uscite dello Stato al netto dell’andamento della congiuntura e di misure una tantum, restano centrali. I piani di aggiustamento fiscale saranno sì “personalizzati”, ma affiancati da paletti severi uguali per tutti: i Paesi con debito/pil sopra il 90% dovranno gradualmente portare il deficit all’1,5% e poi saranno tenuti a far scendere il debito dell’1% l’anno rispetto al prodotto. Per l’Italia, significa perdere ogni spazio di manovra per leggi di Bilancio espansive finanziate aumentando l’indebitamento.
Ecco i punti principali dell’accordo raggiunto il 21 dicembre, su cui dovrà ora esprimersi il Parlamento europeo.

Il braccio preventivo: coordinamento e sorveglianza – Il cosiddetto “braccio preventivo” comprende le regole che tutti i 27 devono rispettare per coordinare le loro politiche economiche, come previsto dal trattato sul funzionamento dell’Unione. In base all’accordo raggiunto all’Ecofin ogni Paese dovrà presentare – a questo punto dal 2025 – un piano fiscale di medio termine che stabilisca l’evoluzione futura della spesa primaria netta, cioè la spesa pubblica nominale al netto di interessi sul debito e uscite legate al ciclo economico. Il piano dovrà basarsi su un’analisi di sostenibilità del debito condotta dalla Commissione, che fornirà ad ogni governo la “traiettoria tecnica” da seguire per portare il debito su un percorso di “riduzione sostenibile” e il disavanzo sotto il 3% del pil.

Il percorso di aggiustamento una durata di quattro anni, allungabili a sette – a discrezione della Commissione – a fronte dell’impegno a realizzare riforme e investimenti negli ambiti prioritari per l’Unione (transizione verde e digitale, diritti sociali, difesa). Non basterà mandare in porto il Pnrr, il cui orizzonte si esaurisce nel 2026. Secondo le simulazioni del think tank Bruegel, la traiettoria richiesta all’Italia comporterà, nell’ipotesi di un piano di sette anni, un aggiustamento dello 0,6% all’anno (12,5 miliardi) per passare da un deficit primario strutturale dello 0,9% a un avanzo del 3,3%.

Le “salvaguardie” – Ma potrebbe non bastare perché, su richiesta dei ministri più rigoristi, a partire da quello della Germania, sono state previste anche due “salvaguardie”: i Paesi con debito/pil sopra il 90% dovranno portare il deficit/pil all’1,5% in modo da avere un margine di sicurezza che consenta di rimanere sotto il 3% anche in caso di choc economici. Per farlo dovranno ridurre ogni anno il deficit strutturale dello 0,4% se il loro piano è di quattro anni, dello 0,25% se hanno ottenuto l’allungamento a sette. Poi saranno tenuti anche a ridurre il rapporto dell’1% annuo, quota che scende allo 0,5% se il debito è tra il 60 e il 90% del pil. Il criterio determinante per ogni Paese – di cui Bruxelles terrà conto – sarà il più severo tra i tre (contenimento della spesa primaria, limite del deficit e limite del debito), cioè quello che impone la stretta più dura. È per questo che, secondo il Bruegel, Roma potrebbe essere tenuta a portare l’avanzo primario strutturale addirittura al 4,6% del pil, con strette senza precedenti.

In caso di deviazione dal percorso previsto per la spesa primaria netta che in un dato anno superi lo 0,3% del pil, la Commissione valuterà se aprirà una procedura per deficit eccessivo. Il Consiglio potrà però consentire di non rispettare i paletti in caso di severa recessione dell’Eurozona o dell’Unione o se si verificano circostanze eccezionali fuori dal controllo del governo che abbiano un impatto importante sulle finanze pubbliche.

Il braccio correttivo e la procedura per deficit eccessivo – Ai Paesi in procedura per deficit eccessivo, tra i quali nel 2024 ci sarà con ogni probabilità l’Italia, si applicheranno inizialmente regole diverse. Dovranno per prima cosa riportare il deficit sotto il 3% del pil mettendo a segno una correzione strutturale pari allo 0,5% del pil ogni anno: per l’Italia circa 10,5 miliardi ai prezzi del 2024. Per un periodo transitorio che durerà dal 2025 al 2027, la Commissione potrà rivedere al ribasso quell’obiettivo per tener conto dell’aumento della spesa per interessi: si tratta dell’unica concessione ai Paesi molto indebitati, ampiamente rivendicata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. I governi in carica dopo il 2027, quando lo “sconto” verrà meno, avranno poco da festeggiare.

In caso di mancato rispetto del percorso di risanamento concordato tra il singolo Paese e l’Ue, allo Stato interessato potrà essere inflitta una piccola multa pari allo 0,05% del Pil. La cifra potrà aumentare se entro sei mesi non si fa nulla per riportare sulla giusta traiettoria il piano di rientro dal deficit. Anche la procedura per deficit eccessivo ammette un allungamento della deadline in caso di recessione.

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