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“Ecco il mondo che occulta la verità sul rapimento di Emanuela”: Pietro Orlandi e l’ultima inchiesta di Purgatori su Mino Pecorelli

“Questa inchiesta di Andrea Purgatori che consiglio di vedere spiega bene il mondo sporco di quegli anni, tra Stato, Chiesa e criminalità. Un mondo che ancora oggi occulta la verità sul rapimento di Emanuela”: il primo post di Pietro Orlandi del 2024 sui suoi profili social omaggia il compianto giornalista, che ha seguito il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi sin dai primi giorni, e il suo “coraggio di raccontare le cose senza peli sulla lingua”.

Ma di quale inchiesta, delle tante da lui condotte, di tratta? Una delle ultime, andata in onda su La7, in cui Purgatori ha raccontato un cronista altrettanto coraggioso che ha pagato con la vita la propria temerarietà: Mino Pecorelli, direttore di OP, Osservatore Politico, settimanale di inchiesta nato nel 1968. Tra le sue fonti c’era anche un ex capo del Sid, i servizi segreti della Difesa, Vito Miceli. Pecorelli fu ammazzato con un colpo di pistola in bocca, tipologia di esecuzione riservata ai cosiddetti infami, a quelli che parlano troppo.

Giornalista di razza per tanti, per alcuni un ricattatore, di certo Pecorelli ha segnato una anomalia nel panorama di quegli anni, slegato da qualsivoglia potere politico, ed economico. Per il pentito Tommaso Buscetta era uno che “disturbava il potere”. “Giornalista eccentrico ed anarchico”, lo ha definito in una delle sue ultime apparizioni in tivù Purgatori. Pecorelli tolse nelle sue inchieste il velo dal traffico di armi con la Libia di Gheddafi in cambio di petrolio, dall’organizzazione clandestina “Anello”, ufficialmente conosciuta come il Noto Servizio: “Raccoglieva ex repubblichini al lavoro su operazioni sporche tipiche di quegli anni come l’eliminazione fisica di personaggi scomodi mascherata da incidente”, spiegava Purgatori, pochi mesi prima che la sua malattia lo strappasse alla vita. Pecorelli si era infiltrato nella loggia massonica P2: il suo nome risulterà negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi a Licio Gelli.


Ma cosa unisce i pezzi del puzzle e cosa lo lega ad Emanuela Orlandi? Pecorelli consegnò un documento a Papa Giovanni Paolo I, cioè Albino Luciani, che morì la stessa notte in cui questo pervenne tra le sue mani. Era il 1978, esattamente cinque anni prima del rapimento della Orlandi, quando Pecorelli lavorò a un’inchiesta esplosiva sulla “Gran loggia vaticana” in cui rivelava l’esistenza di 121 tra altri prelati e cardinali, membri di una loggia massonica, con tanto di numero matricola a data di iniziazione. Ebbene, tra loro ce ne erano quattro che riportano ad Emanuela Orlandi: l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli, il cardinale Ugo Poletti che fornì la dispensa per la sepoltura del capo della fazione testaccina della Banda Magliana Enrico de Pedis nella Basilica di Sant’Apollinare, sede della scuola di musica di Emanuela. Nell’elenco consegnato a Papa Luciani, poche ore prima della sua morte, c’erano anche Pietro Vergari, ex rettore della stessa Basilica di Sant’Apollinare e indagato nella seconda inchiesta sul caso Orlandi (poi archiviata) per concorso in sequestro e Paul Marcinkus, ex capo dello Ior, la banca Vaticana.

Giovanni Paolo I morì poche ore dopo aver ricevuto l’elenco dei prelati massoni da Pecorelli. Il suo pontificato resta più breve della storia moderna, durato appena 33 giorni, cui seguì quello di Papa Giovanni Paolo II, durato ben 27 anni. “Papa Luciani doveva prendere una posizione seria verso i cardinali citati”, ha spiegato Rosita Pecorelli, la sorella del giornalista, ammazzato pochi mesi dopo questa inchiesta. “Un’inchiesta centrale per capire chi ce l’aveva con Pecorelli”: le parole del giornalista Antonio Padellaro, fondatore e primo direttore del Fatto Quotidiano, ospite in studio di una delle ultime puntate del programma condotto da Purgatori. Sulla morte di Pecorelli, il giornalista ha aggiunto: “Può darsi abbia fatto una rivelazione, arrivata come un’offesa che non poteva essere lavata se non con il sangue”.