Quando nel 1946 il fondatore della 20th Century Fox, Darryl Zanuck, predisse che il pubblico si sarebbe stancato presto della televisione, sbagliò di grosso: la Tv ha dominato lo scenario mediale dalla sua nascita. In Italia si festeggiano i 70 anni della televisione (100 sono gli anni della radio), il mezzo di comunicazione che ha condizionato non poco la cultura, la politica, l’economia del paese.

Sintetizzando, si possono enucleare questi periodi: la lunga fase del monopolio pubblico gestito dalla Rai, la fine del monopolio negli anni Ottanta con l’arrivo delle Tv private, il periodo “nero” del conflitto d’interessi, quando politica e Tv diventano un tutt’uno, l’apertura del sistema con l’arrivo della pay e del web. Arriviamo ad oggi, con la Rai e la televisione tutta che subiscono contraccolpi pesanti dal mutato contesto mediale.

Il giudizio sulla Rai del monopolio, considerate le condizioni del Paese, appena uscito dalla guerra, è perlopiù positivo. L’Italia si è unita grazie anche alla Rai. Si ricordi il programma del maestro Alberto Manzi che ha contribuito a ridurre l’ampia fascia di analfabetismo, i famosi sceneggiati come La Cittadella, I Promessi Sposi, Il Mulino sul Po, I Fratelli Karamazov, Il Conte di Montecristo, sceneggiati che non hanno nulla da invidiare alle migliori serie di oggi; da ricordare anche i grandiosi varietà del sabato sera e i migliori film del lunedì.

La televisione si diffonde rapidamente, grazie ad un canone piuttosto contenuto (il prezzo più consistente è quello per il televisore). Rimane il giudizio negativo sull’informazione, piegata agli interessi del partito di maggioranza, la Dc. Nell’insieme, anche prendendo a riferimento la programmazione di oggi, non si può non essere grati a chi ha lavorato allora in Rai, perlopiù intellettuali di prim’ordine e di vario orientamento politico. Non a caso anche i partiti di opposizione non arrivano mai a minacciare scioperi per il pagamento del canone, come fanno i “barbari” politici di oggi quando stanno all’opposizione per poi riempire l’azienda pubblica di loro protetti una volta diventati maggioranza.

L’ingerenza della politica sulla Rai c’è sempre stata, come si evince da questi due esempi. Si ricordi il famoso “editto bulgaro” grazie al quale vi fu la cacciata dalla Rai nel 2002, fra gli altri, di Enzo Biagi.

Nel 1981, il programma della seconda rete di Massimo Fichera, A.A.A. offresi, un documentario sulla vita di una prostituta, è censurato. Alle 21:30 dell’11 marzo, l’annunciatrice legge il telegramma del presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, il DC Mauro Bubbico: «Invito la concessionaria alla sospensione della messa in onda della trasmissione», in sostituzione va in onda il film Grisbì. Gli autori del programma, sei donne già autrici del noto Processo per stupro, il direttore della rete e altri sono accusati di favoreggiamento alla prostituzione. Dopo dieci anni, l’iter processuale termina con l’assoluzione degli imputati.

Alla fine degli anni Settanta il monopolio pubblico si rompe. La pressione del mondo pubblicitario spezza la rete di protezione del monopolio. I socialisti si fanno paladini della liberalizzazione (Claudio Martelli lancia l’idea, senza successo, di una «quarta rete» sul modello dell’ITV britannica, una syndication delle Tv private), ma anche gli altri partiti presto si accodano. I consumi crescono, il commercio si allarga con la nascita dei centri commerciali, l’atteggiamento verso il consumo cambia e “l’avere” diventa propedeutico “all’essere”, per cui le imprese hanno bisogno di un mezzo che le permetta di planare sulle tavole degli italiani.

Lo strumento di marketing migliore è la pubblicità. Dagli iniziali “cento fiori” (lo slogan dei fautori della privatizzazione) si passa presto all’oligopolio. Gli agenti di Publitalia battono con successo il paese per convincere le aziende che “il loro business è il business di Mediaset”. Gli spot invadono la programmazione. Nel 1995, con lo slogan “non si spezza una storia, non s’interrompe un’emozione”, è proposto un referendum volto ad impedire l’interruzione dei film con gli spot. Il referendum è respinto.

La Rai si confronta per la prima volta col mercato. È rimarchevole il fatto che, a differenza di tante imprese pubbliche, esce vincente da questa sfida. Nel contempo la Rai si era già aperta alla società civile: la legge di riforma del 1975 stabilisce che il CdA è composto da 16 membri, in rappresentanza di tutte le forze politiche, in base al dettato della Corte Costituzionale.

In un primo periodo (anni Ottanta) la programmazione della Rai conosce una nuova “primavera”. In quegli anni la Rai raggiunge vette elevate, come se la concorrenza avesse immesso nell’azienda una nuova vitalità. Sotto le presidenze di Paolo Grassi, Sergio Zavoli e Enrico Manca nasce la Raiuno di Emmanuele Milano, esempio di garbata televisione nazional-popolare che oggi rimpiangiamo, la Raidue di Fichera, la rete scanzonata e impegnata che rivoluziona il linguaggio televisivo, la Raitre di Angelo Guglielmi che fa conoscere nuove realtà della società. Anche Canale5 dà il meglio. La televisione di quel periodo è bella! I programmi sono provati e riprovati, si curano i testi e, a differenza di oggi, si evita il fastidioso dialetto romano che ormai imperversa nelle reti Rai.

La qualità è alta anche perché le risorse sono abbondanti. La pubblicità cresce a ritmi sostenuti; gli inserzionisti privilegiano Mediaset, per motivi commerciali ma è probabile anche per motivi “ideologici”; anche la Rai può integrare la risorsa certa del canone con la pubblicità.

Il duopolio Rai-Mediaset domina il sistema per anni e nulla può intaccarlo. Si protegge, per esempio, l’etere perché ha frequenze limitate mentre si blocca il cavo che avrebbe aperto il sistema.
Nel 1994 c’è la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, nasce il “partito-azienda”, il duopolio si consolida. Nel 2004 è approvata la “legge Gasparri” con la quale il duopolio è come istituzionalizzato. La Rai ritorna a gravitare nell’orbita del governo. Si crea una situazione nella quale i due competitor hanno più vantaggi: Rai e Mediaset arrivarono a detenere l’80-90% degli ascolti e della pubblicità televisiva; Rai mantiene la leadership negli ascolti, Mediaset rastrella gran parte della pubblicità. Una sorta di pax televisiva che domina il sistema per anni e che ha svilito la programmazione.

Nonostante gli sforzi del “partito azienda” di bloccare il sistema, il mondo della comunicazione cambia. Nel 1993, la sfida fra la Lazio e il Foggia è il primo posticipo della storia del campionato di Serie A, partita trasmessa da Tele+2, una Tv a pagamento. Il calcio cambia, ma anche la Tv cambia: ci sono voluti altri dieci anni per l’avvio vero della pay, quando nel 2003 arriva Sky e il sistema televisiva si completa, articolandosi nei tre modelli: servizio pubblico, televisione commerciale e a pagamento. Ogni modello ha in teoria le sue specificità. Nella realtà i problemi sorgono per la Rai che sempre più ha difficoltà a qualificarsi come servizio pubblico.

Ma un altro modello sta ora imperversando, il web che toglie spazio e pubblicità alla televisione. Il Censis segnala che il 2023 sarà ricordato anche come l’anno del sorpasso delle Smart-Tv sulle Tv tradizionali. La classica televisione è vista in prevalenza da anziani. L’età media degli ascoltatori del Tg1 della sera, per esempio, è di 64 anni, per cui la probabilità che lo veda un ventenne è pari a quella che lo veda una persona di 108 anni. La programmazione si è impoverita, mancano idee, le risorse da investire sui programmi languono, è finito il bengodi della pubblicità. La Tv classica vive ora in prevalenza sugli eventi, Sanremo su tutti.

Dopo 70 anni la Tv è al crepuscolo: continuerà a sopravvivere ma le sue dimensioni si ridurranno. Preoccupa che in questo tramonto sia coinvolta soprattutto la Rai, occupata capillarmente dalla maggioranza. Una televisione senza la Rai non è più televisione! La7 e Nove si stanno trasformando in ciò che era Raitre, ormai semi-scomparsa. Si può “segare” l’immagine di una rete, ma non si può sopprimere il suo pubblico.

Buon compleanno, cara televisione; con l’augurio che la Rai ritorni ad essere una televisione per tutti.

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