Un mese con un populista (Tab edizioni, 2023, pp. 267, € 20) racconta un’esperienza estrema: l’autrice, Anna Bonalume, ha passato trenta-giorni-trenta (complessivi, a tutto c’è un limite) in tournée con Matteo Salvini, durante le Regionali emiliane e calabresi del 2020. A che pro, direte voi? Per spiegarne il mistero: ossia, come un maschio lombardo senz’arte né parte, né bello né intelligente né simpatico né ricco, abbia potuto scalare i vertici della Lega nord di Bossi, prenderla al 4%, trasformarla in Lega per Salvini premier, portarla al 34% nel 2019 e, dopo averne combinate più di Bertoldo in Francia, restare comunque vicepremier di Giorgia Meloni, e condizionarne la politica al punto di imporle la recente rottura con la Ue sulla ratifica del Mes.
Le immagino già, le reazioni dei professoroni più professoroni di me: ma che sarà mai questo populismo, quanto durerà ancora, un mese?, un anno? Bonalume risponde: Salvini, in campagna elettorale – dunque sempre, perché è sempre in campagna elettorale – va a dormire alle due e si alza alle sette del mattino, è continuamente in televisione e sui social, fa anche dieci-dodici comizi al giorno, parla un quarto d’ora e il resto è selfie, selfie infiniti, cambiando abito e slogan a seconda del pubblico. Una vita di melma (in inglese slime, cfr. p. 258), fra l’altro, sempre al servizio dell’uditorio, che però lo ripaga credendogli, oh se gli crede, anche contro i propri interessi, pure contro il buon senso…
Dissolto così il mistero Salvini, sorta di mago Houdini, che ha portato il populismo ai vertici dell’arte s’incontra il dilemma, forse il trilemma, sui modi per guarirne: perché ci sono almeno due terapie, forse tre, ma tutte insoddisfacenti. La prima è far finta di niente, come i professoroni di cui sopra, tanto prima o poi il fenomeno si sgonfierà: ottimo, se non fosse che intanto la democrazia muore, e l’Italia va a donne di facili costumi, se si può dire. La seconda è demonizzarlo, come i miei amici radical chic, pure lì pensando che prima o poi si darà la zappa sui piedi, come al Papete, o che la sua migliore allieva, Giorgia Meloni, lo smonti pezzo per pezzo. Ma, pure lì, quando? Prima o dopo il definitivo trasloco dell’Italia nel Terzo Mondo?
Ci sarebbe anche una terza terapia, proposta in Come internet, quando la democrazia già boccheggiava ma dava ancora segni di vita: fare come lui, anzi cercare di superarlo. Soluzione solo apparentemente facile, pure Crozza ci riesce, confesso che d’ogni tanto ci ho provato anch’io, ma poi il mio psichiatra me lo ha vietato, provoca delirio d’onnipotenza, e se è per questo anche il mio gastroenterologo, per via di tutta quella polenta con gli osei (al nord) e baccalà (al sud) di cui si è costretti a ingozzarsi per apparire più bulimici di lui.
Ma la vera controindicazione è un’altra: se tutti i politici diventassero populisti, certo, Salvini potrebbe anche perdere definitivamente, ma quel punto avrà vinto lui, cioè il Populismo in persona, e della democrazia finirebbe per parlarsi nei libri di storia, e qualche studente la confonderebbe con le crociate, o con le favorite di Luigi XV.