Un milione di italiani influenzati e una curva delle infezioni respiratorie che è ancora in crescita, soprattutto tra i bambini. Complici le riunioni familiari, un certo rilassamento rispetto al monitoraggio e la prevenzione del Covid e, soprattutto, le carenze strutturali del sistema sanitario nazionale che in alcune regioni si sentono ancora di più. Ma il virus colpisce forte anche a Roma e manda il tilt le strutture sanitarie. Al Policlinico pediatrico Bambino Gesù della capitale, tra Natale e Capodanno gli ingressi al pronto soccorso sono aumentati del 50%: “Dai 300 accessi giornalieri in pronto soccorso siamo arrivati anche a punte di 450-480 ingressi. Le nostre strutture di Palidoro e Gianicolo durante le festività hanno lavorato con ritmi impressionanti per gestire i piccoli pazienti, in particolare sotto i 5 anni di età, con problemi respiratori e febbre alta”, ha dichiarato Sebastian Cristaldi, responsabile del Pronto soccorso del Bambino Gesù.

Nei giorni scorsi Fabio De Iaco, Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu), aveva denunciato una situazione da “assedio”, con 1100 persone in attesa di ricovero nei pronto soccorso solo nel Lazio (a fronte di 500 in Piemonte e addirittura in Lombardia ricoveri sospesi per sovraffollamento). Mercoledì i pazienti in attesa di trattamento nell’insieme dei pronto soccorso della Regione Lazio erano ancora circa 600, e 2000 quelli trattati. L’Istituto Superiore di Sanità ha già colorato di rosso la Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Campania, piazzate nella fascia di incidenza dell’influenza considerata “molto alta”. Il Lazio non è ancora in questa classifica, ma qui oltre consueto picco stagionale delle malattie respiratorie si sommano carenze strutturali aggravate dalla fatalità: l’incendio dell’8-9 dicembre all’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli, che ha reso indisponibili 300 letti.

“I problemi sono nei reparti” – Ad essere affaticate risultano soprattutto le strutture della zona est di Roma, oltre che l’Umberto I nel centro della Capitale e il Sant’Andrea a nord. Al Policlinico Casilino la situazione è “stabilmente caotica”, secondo fonti sanitarie interne sentite dal Fatto, con ambulanze ferme in attesa di scaricare i pazienti e lunghe code agli ingressi. “Il problema non è tanto dei pronto soccorso, ma l’incapacità delle strutture di assorbire pazienti nei reparti specialistici”, dichiara al Fatto Giancarlo Cenciarelli, segretario generale della Cgil Funzione Pubblica di Roma e Lazio. Le carenze, dal punto di vista del sindacato, sono soprattutto da attribuire a ragioni strutturali.

Per tamponare il sovraffollamento dei pronto soccorso la Regione guidata da Francesco Rocca a maggio ha acquisito 350 posti letto di strutture sanitarie private (soprattutto Rsa) al costo di 24 milioni di euro per un anno. A ridosso di Natale ha aumentato la dotazione di altri 178 posti letto per 10 milioni per 6 mesi. Questi ultimi devono ancora entrare in funzione per i tempi tecnici dovuti all’assunzione di personale. “Aumentare i posti letto serve a poco se manca il personale per garantire le cure, così diventano solo numeri sulla carta. Negli ultimi incontri con le rappresentanze sindacali la Regione stessa ha dichiarato che il numero di posti letto teorici dichiarati nelle strutture pubbliche non risponde ai posti letto effettivi. Non sono stati fatti bandi per assumere nuovi medici, anche se i soldi per farlo ci sono. Le case della salute o le nuove strutture previste dal Pnrr non sono mai decollate. Di fatto sul territorio siamo in carenza di medicina preventiva, i servizi diminuiscono in maniera costante. Per questo i cittadini risolvono con accessi impropri ai pronto soccorso”.

“Accessi triplicati tra i bambini” – A intasare particolarmente i pronto soccorso, romani e nazionali, c’è il fatto che alle infezioni respiratorie stagionali quest’anno si aggiungono patologie che colpiscono specificamente i bambini e le bambine. Sono diversi gli agenti patogeni che concorrono alla situazione di crisi attuale, spiega Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Santià: “C’è il SARS-CoV-2 che ormai si è insediato stabilmente tra noi e che circola a livelli sostenuti con il virus influenzale, così come il virus respiratorio sinciziale responsabile di bronchioliti nei bambini più piccoli”. Fabio Midulla, responsabile del reparto di Pediatria d’urgenza del Policlinico Umberto I di Roma e presidente della Società italiana malattie respiratorie infantili (Simri ), conferma: “gli accessi al pronto soccorso sono triplicati nell’ultimo mese. E il 90% dei piccoli ricoverati sono per bronchiolite”. La bronchiolite è un’infezione virale acuta che colpisce il sistema respiratorio dei bambini di età inferiore ad un anno soprattutto nei primi 6 mesi di vita, e secondo i sanitari è la maggiore causa di sovraffollamento dei pronto soccorso pediatrici, soprattutto tra novembre e marzo. Cristaldi del Bambino Gesù fornisce una casistica per fasce d’età: “Nella fascia 3-6 anni colpiscono duro influenza, Covid e rhinovirus; sotto i due anni, invece, preoccupa il virus sinciziale (Vrs) che è la causa di sette bronchioliti su dieci”.

Mancano i medici di base – Anche nel Lazio conta la carenza dei medici di base. “Il picco dell’influenza è un dato atteso ogni anno. Sono più di tre settimane che noi siamo preoccupati per l’alto numero dei contagi da Covid e dalle altre infezioni respiratorie. Ci preoccupano in particolare le polmoniti. Solo oggi nel mio studio ne ho trattate 6 su 50 pazienti assistiti”, dice al Fatto Pier Luigi Bartoletti, segretario provinciale e vice segretario nazionale della Federazione italiana medici di famiglia (Fimmg). Il motivo degli alti numeri di questa stagione, secondo il medico di base, dipendono dal fatto che il Covid si è ormai aggiunto come patologia strutturale ai malanni stagionali più tipici, aumentando le pressioni sulle strutture sanitarie. “Il Covid che si va a sommare ad altri virus. Ora il sistema non è più in crisi per morti ma perché hai in poco tempo moltissimi malati. Però in a 20 anni invece di aumentare i servizi sono diminuiti: i medici di base sono passati da 4800 a meno di 4000, i servizi ospedalieri si sono ridotti e ora che non ci sono più gli strumenti emergenziali siamo tornati indietro anche rispetto ai passi avanti fatti durante la pandemia nella gestione e messa in rete dei servizi”.

Il picco deve ancora arrivare –“Il virus sinciziale è in salita, soprattutto nei piccoli sotto i 5 anni, anche come ricoveri – conferma Rino Agostiniani, vicepresidente della Società italiana di pediatria (Sip) – Mentre durante il periodo pandemico si era un pò spostato l’andamento del picco, quest’anno il virus è tornato a comportarsi come nel passato, con un inizio verso fine novembre, dicembre, e l’aspettativa è che duri ancora un po’, con numeri alti nel mese di gennaio e andando poi a calare”. Per l’epidemiologo Gianni Rezza un dato è anche l’indebolimento delle difese immunitarie degli italiani dopo due anni di precauzioni pandemiche: “È stata la fine delle misure contro la pandemia a far sì che i virus contagiassero di più. Quindi non c’entrano vaccini o malattia ma proprio il fatto che per due anni i virus, a parte il Covid, non abbiano circolato. Tra l’altro le misure come la mascherina sono più efficaci contro l’influenza che contro il Covid”, ha spiegato domenica in un’intervista a Repubblica.

Secondo tutti gli esperti, il picco è atteso nelle prossime settimane. Ma il problema è anche che molte persone, anche i fragili o gli anziani, arrivano impreparati all’appuntamento. Le vaccinazioni anti-influenzali, infatti, sono in costante diminuzione negli ultimi anni. Secondo i dati del Ministero della Salute, la copertura vaccinale tra gli over 65 del 2023 è intorno al 56,7%, in costante calo negli ultimi anni (nel 2015 eravamo al 65,3%). Con la riapertura delle scuole dopo l’Epifania i contagi cresceranno. Cristanti dal Policlinico Umberto I conferma: “Se questo picco si raggiungerà l’ultima settimana di gennaio o nei primi 15 giorni di febbraio non possiamo ancora prevederlo, ma i dati ci dicono che gli accessi ai Pronto soccorso sono costanti”.

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