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Bavaglio, dopo le parole di Meloni asse tra Fnsi, Pd e M5s: “Passo indietro su diritto di cronaca e tutela dell’indagato”

Il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare è un’involuzione rispetto al passato, perché “rappresenta un passo indietro non solo per il diritto di cronaca, ma anche nella tutela dell’indagato”. Le parole usate da Giorgia Meloni per difendere la legge bavaglio in conferenza stampa hanno avuto come effetto quello di rilanciare la protesta della Fnsi. E creare un asse tra il principale sindacato dei giornalisti e l’opposizione, col Pd e i 5 stelle che attaccano la presidente del consiglio.

Ma cosa ha detto la capa dell’esecutivo sull’emendamento approvato dalla Camera? “La norma è frutto di un emendamento parlamentare che arriva da un esponente dell’opposizione su cui c’è stato parere favorevole del governo ma non è un’iniziativa del governo”, ha messo le mani avanti Meloni, incontrando i giornalisti. Poi, però, la premier ha sembrato condividere la norma presentata da Enrico Costa. “L’emendamento riporta l’articolo 114 del codice di procedura penale al suo perimetro originario, che è quello in forza del quale è vietata la pubblicazione anche parziale degli atti del dibattimento. Nel 2017 la riforma Orlando fece un’eccezione consentendo la pubblicazione di questo specifico atto che era appunto relativo alla carcerazione. Questo non toglie il diritto del giornalista a informare, perché rimane il diritto a conoscere quell’atto e a poterne riportare le notizie che sono importanti per informare i cittadini”. E ancora, ha detto la premier: “Io non ci vedo un bavaglio a meno che non si dica che la stampa sia stata imbavagliata fino al 2017. A me pare un’iniziativa valida, non l’ho presa io e probabilmente non l’avrei presa personalmente, ma mi pare una norma di equilibrio tra il diritto di informare ed il diritto alla difesa del cittadino”. Dunque pare di capire che la leader di Fdi non interverrà sulla sua maggioranza per bloccare l’iter di approvazione della norma al Senato.

La premier ha poi contestato la Federazione nazionale della stampa – assente alla conferenza per protesta – per aver manifestato sotto Palazzo Chigi contro il bavaglio, nonostante la norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia sia stata approvata dalla Camera. “La Fnsi ha ben chiaro che quello che contestiamo è un provvedimento di iniziativa parlamentare, che non di meno ha ricevuto una adesione trasversale e che, soprattutto, è stato votato dalla maggioranza che sostiene la presidente Giorgia Meloni“, replica la segretaria generale Alessandra Costante. “L’Europa – aggiunge – non ha mai chiesto di mettere il bavaglio ai giornalisti. Nelle norme sulla presunzione di innocenza l’Europa ha chiesto ai politici di non presentare le persone come colpevoli. L’Italia, invece, è stata fra i Paesi che in Europa, con il Media Freedom Act, avrebbero voluto poter spiare i giornalisti. Quanto alla protesta, la Fnsi ha manifestato sotto i palazzi del parlamento e sotto la sede del governo: piazze degli italiani, non della politica. E lo farà ancora, per la dignità della professione e contro le censure di Stato”.

Sul merito del provvedimento, il principale sindacato dei giornalisti attacca Meloni perché “al di là dei giochi di parole non ha potuto non riconoscere che il disegno di legge presentato dal deputato di Azione e votato dalla Camera rappresenta una involuzione rispetto alla riforma del 2017 che ha espressamente consentito la pubblicazione delle ordinanze cautelari, che sono atti necessariamente conosciuti dalle parti”. Per questo motivo secondo la Federazione nazionale della stampa “la norma bavaglio rappresenta un passo indietro non solo per il diritto di cronaca, ma anche nella tutela dell’indagato – prosegue la nota – Si obbligano infatti i giornalisti a riportare solo sintesi e notizie de relato, senza potersi affidare alla precisione degli atti giudiziari. La strumentale distorsione del garantismo penale non può certo costituire l’alibi per una inaccettabile involuzione democratica”.

Sulla questione è intervenuto anche Andrea Orlando del Pd, ministro della giustizia che nel 2017 varò la modifica dell’articolo 114 del codice di procedura penale per prevedere la pubblicazione delle ordinanze. “Noi decidemmo di fare in modo tale che nelle ordinanze e negli atti andassero meno intercettazioni possibili. Ma quello che andava negli atti sapevamo che sarebbe diventato pubblico e ciò che è pubblico ma non pubblicabile è molto pericoloso. Non è vero, come ha detto la Meloni, che si torna a prima del mio intervento. Prima della mia riforma la situazione non era chiara, la chiarimmo, mentre adesso c’è un divieto”, ha detto l’ex guardasigilli a Tagadà su La7.

Attaccano Meloni anche i 5 stelle. “La premier pensa veramente di prendere in giro i cittadini? I lacci del bavaglio alla stampa li sta stringendo il governo Meloni. Quell’emendamento è stato riformulato, cioè riscritto, dal governo e ha ricevuto i voti favorevoli di tutto il centrodestra, a partite dai Fratelli d’Italia“, dicono i parlamentari in commissione Giustizia della Camera e del Senato Stefania Ascari, Anna Bilotti, Federico Cafiero De Raho, Valentina D’Orso, Carla Giuliano, Ada Lopreiato e Roberto Scarpinato.