Tanti i temi sul tavolo e i potenziali quesiti spinosi nell'inedito incontro d'inizio anno coi giornalisti. La premier ha risposto difendendosi a oltranza e contraccando, puntando il dito contro il Pd, i 5 stelle e in generale scaricando eventuali addebiti sui governi precedenti al suo
Scarica il deputato con la pistola ma difende Matteo Salvini e il bavaglio, anche se ci tiene a sottolineare che non è un’iniziativa del suo governo ma di un “parlamentare dell’opposizione”. E pazienza se sia stata votata anche dai parlamentari della sua maggioranza. L’inchiesta sul figlio di Denis Verdini? Bisogna chiedere al Pd, unico partito al quale Verdini junior si è mai iscritto. È una conferenza stampa senza colpi di scena quella di Giorgia Meloni. Rinviata per due volte a causa di motivi di salute, il consueto incontro di fine anno della premier coi giornalisti è alla fine slittato all’inizio del 2024. Tanti i temi sul tavolo e i quesiti potenzialmente insidiosi, ma Meloni ha risposto difendendosi a oltranza: a volte ha sfiorato la mistificazione – come quando ha detto che “Salvini non è chiamato in causa nell’inchiesta Anas“, anche se è citato nelle intercettazioni – molto spesso ha contrattaccato, puntando il dito contro il Pd, i 5 stelle e in generale scaricando sui governi precedenti eventuali responsabilità addebitate al suo esecutivo. Una sorta di catenaccio e contropiede, con dosi massicce di vittimismo. Una tattica consolidata dalla presidente del consiglio in questi quindici mesi a Palazzo Chigi. Ma andiamo con ordine.
“Il bavaglio è del Parlamento, ma è un’iniziativa valida” – Alla vigilia di questa inedita conferenza stampa di inizio anno due erano gli argomenti più spinosi: il bavaglio, citato anche nell’introduzione dal presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, e il caso di Emanuele Pozzolo, il deputato di Fdi al centro della vicenda dello sparo di capodanno. Il bavaglio, cioè il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare, ha già provocato la mobilitazione dei giornalisti, con i vertici della Federazione nazionale della stampa che hanno disertato l’incontro con Meloni. Sarà per questo motivo che la premier ha deciso di affrontare subito la questione. “La norma è frutto di un emendamento parlamentare che arriva da un esponente dell’opposizione su cui c’è stato parere favorevole del governo ma non è un’iniziativa del governo per cui la manifestazione sotto Palazzo Chigi, quando l’iniziativa non è del governo, doveva essere sotto il Parlamento visto che le Camere si sono assunte le responsabilità”, ha detto nel suo intervento pronunciato prima di cominciare a a rispondere alle domande. Dunque in pratica, la premier ha scaricato la responsabilità sul Parlamento, che ha approvato l’emendamento presentato da Enrico Costa. Poi, però, Meloni ci ha tenuto a difendere la norma che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. “L’emendamento riporta l’articolo 114 del codice di procedura penale al suo perimetro originario, che è quello in forza del quale è vietata la pubblicazione anche parziale degli atti del dibattimento Nel 2017 la riforma Orlando fece un’eccezione consentendo la pubblicazione di questo specifico atto che era appunto relativo alla carcerazione. Questo non toglie il diritto del giornalista a informare, perché rimane il diritto a conoscere quell’atto e a poterne riportare le notizie che sono importanti per informare i cittadini. Io non ci vedo un bavaglio a meno che non si dica che la stampa sia stata imbavagliata fino al 2017. A me pare un’iniziativa valida, non l’ho presa io e probabilmente non l’avrei presa personalmente, ma mi pare una norma di equilibrio tra il diritto di informare ed il diritto alla difesa del cittadino”. Dunque pare di capire che la leader di Fdi non interverrà sulla sua maggioranza per bloccare l’iter di approvazione della norma al Senato.
“Pozzolo irresponsabile” – Per sentire Meloni rispondere sul secondo argomento spinoso, invece, si sono dovute attendere ben quattordici domande. Solo la quindicesima, quando erano passate quasi due ore di conferenza, è stata finalmente dedicata al caso Pozzolo, il deputato di Fdi con la pistola. “Io ho chiesto che Pozzolo venga deferito alla commissione dei probiviri di Fdi indipendentemente dal lavoro che fa l’autorità competente e che nelle more del giudizio sia sospeso da Fdi“, ha detto l’inquilina di Palazzo Chigi, scaricando dunque l’esponente di Fratelli d’Italia. “Sulla classe dirigente del mio partito – ha aggiunto – c’è sempre qualcuno che non ti aspettavi che fa errori o cose sbagliate. Però non sono disposta a fare questa vita se persone intorno a me non sentono la responsabilità. Non sempre accade ma per la responsabilità che abbiamo, e io vivo quella responsabilità, su questo intendo essere rigida”. Una frase evidentemente indirizzata a Pozzolo, ma che – per come è stata pronunciata – sembrava destinata anche a qualcun altro dei suoi.
“Caso Verdini? Salvini non deve riferire in aula” – Quando è arrivato il momento di commentare l’indagine su Tommaso Verdini, figlio di Denis e fratello di Francesca, la compagna di Matteo Salvini, Meloni si è invece chiusa completamente in difesa. “Penso che sulla questione bisogna attendere il lavoro della magistratura, gli sviluppi, se necessario commentare quelli e non i teoremi. Da quello che ho letto le intercettazioni fanno riferimento al precedente governo, Salvini non è chiamato in causa e ritengo che non debba intervenire in Aula su questa materia”, ha detto la presidente del consiglio, blindando di fatto il suo vice, ministro delle Infrastrutture. Il leader della Lega non è indagato, ma viene citato più volte dagli indagati nelle intercettazioni. Meloni, però, ci tiene a marcare le distanze dall’indagine. “Visto che siamo fra di noi voglio dirvi che mi stupisce sempre un pò e un pò mi preccupa quando vedo su uno, due o addirittura tre quotidiani virgolettate mie dichiarazioni che non ho mai fatto. Approfitto per dirlo: sul caso specifico di Tommaso Verdini ho trovato virgolettate sui quotidiani dichiarazioni che non ho mai fatto, neanche in privato”. Dopo aver tentato di scaricare eventuali responsabilità sui governi precedenti, quindi, ha tentato addirittura di tirare in ballo l’opposizione. “Penso che si faccia sempre un errore quando si trasforma una cosa come questo in un caso politico contro il governo. L’unica tessera che ha avuto Tommaso Verdini era quella del Pd ma nessuno di noi ha detto che il Pd era coinvolto“. Il riferimento è al fatto che il figlio di Denis s’iscrisse ai dem ai tempi di Matteo Renzi: era il 2017, ben sei anni fa.
Gli attacchi a sinistra – D’altra parte quella di calciare la palla nella metà campo del centrosinistra è una tattica che la leader di Fratelli d’Italia utilizza spesso. Lo fa per esempio quando le chiedono di Marcello Degni, consigliere della Corte dei Conti finito nell’occhio del ciclone per i suoi post sui social. “Io ho da chiedere alla sinstra se sia normale che persone nominate per incarichi super partes si comportino da militanti politici. Mi aspetto una risposta da Elly Schlein“, ha detto la premier. “Mi ha colpito molto che non ci sia stato nessuno a sinistra a dire due parole su questo tema: Paolo Gentiloni che l’ha nominato, Elly Schlein, io vengo chiamata in causa per qualsiasi cosa”, ha proseguito. Poi ha tirato in ballo Giuseppe Conte a proposito del Mes: “Perchè il suo governo l’ha sottoscritto quando sapeva che non c’era una maggioranza per approvarla?”. Il leader dei 5 stelle è stato oggetto degli attacchi della leader di Fdi anche quando Paola Zanca del Fatto Quotidiano l’ha incalzata sul tema della questione morale, legata ai vari casi politici-giudiziari che coinvolgono esponenti della maggioranza. “Vengo raggiunta da una lettera di Conte che mi dice che devo far dimettere tutte queste persone coinvolte in casi di cronaca perché altrimenti c’è una questione morale. Il M5s ha sempre chiesto le dimissioni degli indagati, con un’eccezione: quando a essere indagati erano esponenti del Movimento 5 stelle. Conte indagato non si è dimesso, Raggi lo stesso, Grillo indagato ha la solidarietà di Conte. Due giorni prima di scrivermi, Conte ha nominato vicepresidente del partito una persona condannata in primo e secondo grado. Io non mai chiesto le dimissioni di Conte, perché credo che le cose si valutino a valle, ma non si può avere per altri un metro diverso rispetto alla propria classe dirigente. A sinistra si è garantisti coi propri, cucce del cane comprese, e giustizialisti con gli altri. Non funziona così, dunque prego la sinistra di non farmi lezioni di morale”. La citazione delle cucce del cane, evidentemente, è riferita a Monica Cirinnà, ex senatrice del Pd.
“Familismo? Accuse che mi hanno stufato” – Una replica quasi piccata è arrivata a chi le ha citato la gestione familiare del suo partito. “Questa accusa di familismo comincia a stufarmi – ha detto la capa dell’esecutivo – Nell’attuale legislatura ci sono due coppie di coniugi entrambe a sinistra, Pd e Sinistra Italiana che ha un gruppo di 8 persone per cui la coppia fa il 25% del partito e non c’è mai stata un’accusa di familismo. Si sa che quando dedichi tanto tempo alla politica le persone diventano amici, moglie o marito. ma non toglie il valore del militante”. A proposito di familismo, la premier ha difeso la figura di Arianna Meloni: “Mia sorella è da 30 anni militante di Fdi, forse la dovevo mettere in una partecipata statale come fanno gli altri, l’ho messa a lavorare al partito mio”. Ma chi è che nomina le sorelle nelle partecipate statali? Attacchi alla sinistra sono arrivati anche quando la presidente del consiglio ha replicato alle recenti affermazioni di Giuliano Amato: l’ex premier ha paventato un rischio democrazia per l’Italia. “Si pone il problema perché entro il 2024 il Parlamento, che oggi ha una maggioranza di centrodestra, deve nominare 4 giudici della Corte Costituzionale, quindi ci sarebbe il rischio di una deriva autoritaria? Questa idea per cui quando vince la sinistra deve poter esercitare tutte le prerogative e quando vince la destra no, temo necessiti di alcune modifiche costituzionali”, ha detto Meloni. “Credo sia una deriva autoritaria pensare che chi vince le elezioni non abbia le stesse prerogative della sinistra”, ha aggiunto.
“In Rai stiamo facendo riequilibrio” – Stesso copione anche quando si è parlato dell’occupazione dei posti di potere in Rai. “Francamente le accuse di Rai come Telemeloni datte da una sinistra che in passato con il 18% dei consensi esprimeva il 70% di poszioni in Rai non le accetto, noi facciamo un lavoro di riequilibrio”, ha sostenuto la premier. Che poi ha aggiunto: “La Rai è la principale azienda culturale italiana, con pregi e difetti, non mi pare venissimo da una età dell’oro, molto si può fare per migliorare il servizio pubblico e garantire maggiore pluralismo. Sono soddisfatta del percorso per ridurre il pesante indebitamento. Ho letto poi le critiche per gli ascolti, ma la Rai fa servizio pubblico, e non va misurata solo sugli ascolti”. E dunque Meloni promuove la gestione di Roberto Sergio e conferma un intervento in viale Mazzini: solo che per la premier si tratta di “un lavoro di riequilibrio“.
“Premierato? Non sarà un referendum sul governo o su Meloni” – Per il resto, all’interno di una lunghissima conferenza stampa, trovano spazio le priorità annunciate dalla capa del governo sul fronte delle riforme: “Su burocrazia e giustizia bisogna avere il coraggio e io vorrei farlo quest’anno”. Dunque il 2024 sarà l’anno della riforma della giustizia, spesso annunciata dal guardasigilli Carlo Nordio? “Non è facile, in questa nazione, quando si cerca di mettere mano ad alcuni ambiti, le opposizioni si fanno sentire, Ma se non hai il coraggio di provarci un governo che ha la maggioranza che abbiamo…”. A proposito di riforme, Meloni ha pure difeso il premierato, anche se senza troppa convinzione. “Non vedo in cosa l’elezione diretta del capo del governo significhi togliere potere al Capo dello Stato, visto che noi abbiamo scelto non toccare i poteri del Capo dello Stato. Si crea secondo me un equilibruio che è un buon equilibrio, si rafforza la stabilità dei governi”. E anche se sostiene di “andare fiera” della riforma costituzionale, la premier non sembra intenzionata a metterci troppo la faccia tanto da giocarsi il suo futuro politico: “Questo non è un referendum sul governo o su Giorgia Meloni, ma su cosa deve accadere dopo”. Insomma, il premierato non vale Palazzo Chigi.