Anno nuovo, prezzi nuovi. Cioè l’ennesimo aumento di Dazn: fino a 4 euro in più al mese e 90 l’anno per guardare le partite della Serie A. Dal 2021 – l’anno di lancio della rivoluzione del calcio in streaming a prezzi stracciati, quando un abbonamento con la multivisione veniva praticamente regalato a 20 euro al mese se non di meno – le tariffe Dazn sono quasi triplicate, prima con il blocco della doppia utenza, poi semplicemente con l’innalzamento dei prezzi. Mentre l’offerta è sempre la stessa.
La notizia ha già fatto il giro del web, scatenando la protesta dei tifosi: Dazn ha pubblicato la nuova “trasparenza tariffaria” (così si chiama adesso) per il 2024, che non è altro che il solito aumento mascherato. Salgono i prezzi di praticamente tutte le offerte. Il piano standard annuale passa da 299 a 359 euro (invariata invece la tariffa mensile, 40 euro ogni trenta giorni). Il piano plus – il più diffuso, perché permette di guardare le partite in contemporanea in due dimore diverse, e quindi di “smezzare” l’abbonamento con un parente/amico – passa da 449 a 539 euro per la formula annuale (dunque circa 45 euro al mese, da dividere per due), mentre se si vuole mantenere la flessibilità di pagare ed eventualmente disdire mese per mese, il prezzo ormai ha raggiunto i 60 euro.
È del tutto evidente che nulla è cambiato tra il 2023 e il 2024, non è intervenuto nessun miglioramento dell’offerta al consumatore (se non il superamento di alcune problematiche tecniche, invero già da qualche tempo, ma garantire un servizio stabile dovrebbe essere comunque la normalità). Quindi l’ennesimo aumento a carico dei tifosi risponde ad una sola e unica esigenze di tipo commerciale: far quadrare i conti di Dazn.
Il Fatto del resto ha già raccontato il grande equivoco che si cela dietro i diritti tv del pallone: costano uno sproposito, la Serie A continua a chiedere e ottenere circa un miliardo a stagione (anche l’ultima asta si è chiusa intorno a quella cifra), ma i tifosi pretendono di pagarli poco. Una contraddizione scontata per anni un po’ da tutti i broadcaster, da ultimo Dazn che nell’ultimo triennio ha perso vagonate di milioni, a maggior ragione dopo l’uscita di scena di Tim (che in passato garantiva 340 milioni su 840 dell’accordo totale), e solo adesso sta faticosamente avvicinando il pareggio.
Come è presto detto: Dazn ha fatto una scelta precisa, preferisce avere 1,5 milioni di abbonati a 45-50 euro al mese, piuttosto che i due milioni e rotti toccati all’inizio con prezzi stracciati. Una politica commerciale schizofrenica, che ha ridotto la platea di spettatori della Serie A e probabilmente sta danneggiando il calcio italiano. Ma la direzione è chiara. In questo senso (rendere sempre più sfavorevole la formula mensile, per minimizzare l’effetto delle disdette, e ritoccare verso l’alto i piani annuali per raggiungere finalmente il pareggio) vanno interpreti anche i nuovi aumenti. D’altra parte, Dazn si è appena aggiudicata i diritti fino al 2029, quindi sarà di fatto monopolista e potrà decidere liberamente le tariffe. I business plan riservati dell’ultima asta anticipavano l’intenzione di alzare i prezzi: per Dazn, il prezzo giusto della Serie A in tv sono minimo 25-30 euro al mese, ad abitazione. Solo facendo pagare di più gli abbonamenti e riducendo la pirateria (la Lega Calcio ha ottenuto una legge ad hoc, ora partirà la nuova piattaforma anti-pezzotto), l’azienda potrà rientrare dell’investimento di oltre 700 milioni a stagione per i prossimi 5 anni. Su questo sono tutti d’accordo, visto che l’offerta prevede che la Lega Serie A guadagni una percentuale sui ricavi di Dazn oltre i 750 milioni annui. Quindi al calcio italiano conviene che i prezzi aumentino. Ai tifosi non resta che rassegnarsi. E pagare, se vogliono vedere le partite.