Il trend finora è positivo. Ma dovrà reggere al rischio che i messaggi ammiccanti lanciati in più occasioni dal governo Meloni abbiano “legittimato”, nella percezione dei contribuenti, un certo grado di infedeltà fiscale. Le nuove stime sull’evasione, aggiornate in questi giorni dalla commissione ad hoc di quindici esperti presieduta da Alessandro Santoro, mostrano che nel 2021 le somme non versate all’erario sono diminuite sia in valori assoluti sia in rapporto al gettito atteso. La cosiddetta propensione al gap, che misura la quota sottratta alle Entrate rispetto alla cifra attesa se tutti pagassero il dovuto, è scesa al 15,3% dal 21% del 2016. Quella al netto di imposte immobiliari e accise è al 15,2%: un risultato che consentirebbe all’Italia di dare per raggiunto il primo obiettivo fissato dal Pnrr. Il target del Piano però è relativo al 2024: a dire se è stato centrato sarà solo la Relazione sull’evasione del 2026. Per centrarlo occorre quindi che la situazione resti invariata (o migliori ancori) dopo l’insediamento di un esecutivo che se nei fatti ha confermato la strategia di contrasto al nero impostata dai predecessori, a parole ha spesso strizzato l’occhio a chi evade.

Le nuove stime – L’aggiornamento della Relazione allegata alla Nota di aggiornamento al Def, messo a punto sulla base dei nuovi dati Istat sulla contabilità nazionale, mostra che nel 2021 i mancati incassi per lo Stato sono ammontati a 83,6 miliardi. Nel 2019, prima del Covid che ha fatto crollare il pil e di conseguenza anche le cifre evase, l’evasione di tasse e contributi aveva superato i 100 miliardi con una propensione al gap del 18,6%. La fatturazione elettronica, l’aumento della diffusione dei pagamenti elettronici e riforme legate al Pnrr come l’obbligo di trasmissione alle Entrate degli importi delle transazioni con carta stanno quindi funzionando. La riduzione è consistente e riguarda tutte le principali imposte a partire dall’Iva. Rispetto a un 2020 eccezionale causa choc pandemico, si registra una ripresa da 28 a 30 miliardi del gap relativo all’Irpef pagata da autonomi e imprese, che è sempre stato il più consistente. La propensione al gap però scende anche in questo caso, dal 69,3 a un comunque preoccupante 67,2% (vedi tabella). “Questa è una novità rispetto agli anni precedenti”, commenta Santoro, “ma dipende ovviamente dall’andamento del ciclo economico: la crescita dell’imposta potenziale, legata alla ripresa del pil, ha più che compensato l’aumento assoluto del gap e il rapporto si è ridotto”.

Le stime sull’evasione degli autonomi non tengono conto della flat tax – “Bisogna poi considerare”, continua il docente di Scienza delle finanze dell’università Bicocca che dal 2021 presiede la commissione incaricata di scrivere la Relazione, “che questa stima non tiene conto dei forfettari (i contribuenti che hanno optato per la flat tax, ndr)”. La relazione 2022 aveva rilevato che l’imposta piatta del 15% incentiva a nascondere la parte di introiti che porterebbe a oltrepassare la soglia di ricavi sotto la quale si ottiene il regime di favore, quella del 2023 ha confermato l’effetto perverso anche dopo l’innalzamento del tetto da 65mila a 85mila euro. Considerato che ormai metà dei titolari di partita Iva ha scelto il forfait, non è escluso che la Commissione europea possa contestare una quantificazione dell’evasione che non considera questa platea.

Quanto conta la percezione dei contribuenti – Le stime sul 2021, avverte Santoro, sono provvisorie: “Il dato definitivo sarà nella relazione allegata alla Nadef di quest’anno”. E il target di riduzione dell’evasione fissato dal Pnrr “andrà verificato nel 2024”. Al momento “non ci sono elementi che possano far supporre che le cose cambino drasticamente, perché sulle politiche c’è stata sostanziale continuità“. Come conferma l’atto di indirizzo della politica fiscale 2024-2026 firmato a fine anno dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in cui si ribadisce l’intenzione di “potenziare le analisi del rischio, attraverso la piena utilizzazione dei dati del sistema
informativo dell’Anagrafe tributaria e il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale“, oltre all’”utilizzo dei dati provenienti dalla fatturazione elettronica e dalla trasmissione telematica dei corrispettivi, di quelli contenuti nell’Archivio dei rapporti finanziari e di quelli acquisibili attraverso l’interoperabilità delle banche dati e lo scambio di informazioni, così come dal potenziamento della cosiddetta ‘lotteria degli scontrini’”. Altra cosa però è la percezione dei contribuenti, che – condoni a parte – potrebbe essere stata influenzata dagli appelli alla pace fiscale del vicepremier Matteo Salvini, dalle dichiarazioni della premier sul “pizzo di Stato” e da quelle del viceministro con delega al fisco Maurizio Leo sull’inefficacia della lotta all’evasione fatta finora e la necessità di un fisco amico. L’impatto si vedrà sulle stime relative al 2023 e 2024, che saranno diffuse tra qualche anno. Da una commissione rinnovata, visto che l’incarico di quella attuale scade il prossimo luglio.

Il concordato biennale può influenzare i dati 2024 – Sui dati del 2024 peserà anche l’impatto del nuovo concordato preventivo biennale tra fisco e piccole e medie imprese. Il decreto attuativo di quella parte della delega fiscale è ora all’esame delle commissioni parlamentari competenti. La versione uscita dal consiglio dei ministri dopo l’esame preliminare rischia di essere poco appetibile, perché pur offrendo notevoli benefici ai contribuenti richiede di raggiungere un punteggio di affidabilità fiscale (Isa) pari ad almeno 8. Se l’asticella fosse abbassata e le adesioni fossero molte, la solidità delle stime inserite nelle prossime relazioni sull’evasione potrebbe soffrirne. Perché gli autonomi e le pmi che firmeranno l’accordo con l’Agenzia saranno automaticamente in regola, ergo per tutta quella platea il gap dovrà essere ritenuto pari a zero, anche se i redditi su cui verrà calcolato il forfait da pagare potranno in realtà essere inferiori rispetto a quelli effettivi. Molto dipenderà dal parere che uscirà dalla commissione Finanze della Camera, che a dicembre ha deciso di rinviare a gennaio l’esame dell’atto del governo e chiedere memorie scritte a tute le categorie interessate, da Confindustria ai tributaristi.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Pensioni minime in aumento nel 2024: l’Inps annuncia i nuovi importi aggiornati anche per tener conto dell’inflazione

next
Articolo Successivo

Carovita a Milano, in otto anni aumenti medi del 20%: l’impennata nel 2022. In testa ai rincari le abitazioni, la ristorazione e gli hotel

next