Probabilmente conoscete la storia dei ciechi e dell’elefante. Quello che toccava la proboscide pensava di avere davanti un serpente. Quello che toccava una zampa pensava a un tronco di albero, quello che toccava la coda a un ramo, e così per le orecchie che sembravano ventagli, le zanne sembravano delle lance, e la pelle somigliava a un muro. Ma nessuno di loro, da solo, riusciva a capire cosa fosse un elefante.

E’ un antica storia buddista che risale forse al quinto secolo BC. Ci dice che ci sono cose che vanno al di là delle nostre capacità di comprensione, oggetti che il filosofo inglese Tim Morton ha definito “iperoggetti”. Uno di questi è il clima terrestre. E’ un’entità che si dipana su miliardi di anni cambiando continuamente in dipendenza da un gran numero di fattori geologici, biologici, e fisici che interagiscono fra di loro. In oltre un secolo di lavoro, siamo riusciti a capire molte cose di come funziona, ma ancora se ne scoprono di nuove e il sistema si rivela sempre più complesso di quello che pensavamo che fosse.

Una cosa, comunque, è chiara: l’elefante del clima può reagire in modo catastrofico alle perturbazioni. In particolare, si può surriscaldare a sufficienza da generare estinzioni di massa. E’ successo più di una volta nel remoto passato, potrebbe succedere ancora come risultato della perturbazione umana odierna. Siamo a rischio di estinzione; non è una cosettina da poco.

Ma fate caso alla povertà del dibattito sul clima sui media: sembra veramente un gruppo di non vedenti che parlano di elefanti. Ognuno porta il suo pezzetto di verità, raccattato alla meglio dai social, da youtube, o da qualcosa di sentito dire da un amico che se ne intende. Da una parte, caldo, freddo, neve, o siccità, è sempre colpa del cambiamento climatico anche se non si sa mai esattamente perché. Dall’altra, si tirano fuori astrusi dettagli: i sentieri alpini nel Medio Evo, la Groenlandia verde al tempo di Erik il Rosso, e persino gli elefanti di Annibale (si parlava di elefanti?) che però non si sa bene cosa abbiano a che fare con la scienza del clima. E, alla fine dei conti, il dibattito si riduce da una parte a una professione di fede nella “Scienza” (quella con la “S” maiuscola rappresentata dai televirologi alla moda), dall’altra a un sillogismo altrettanto fideistico (ma al contrario) che dice, più o meno, “siccome gli scienziati ci hanno imbrogliato sul Covid, ne consegue che ci stanno imbrogliando anche sul clima”.

Insomma, capire cosa è l’iperoggetto “clima” non è cosa facile ed è ancora meno facile ragionarci sopra sapendo di cosa si parla. Ma non è nemmeno impossibile, così come non sarebbe impossibile per un gruppo di non vedenti farsi un’idea di cosa è un elefante. È quello che succede in alcune versioni dell’antica storia buddista, con i ciechi che mettendo insieme le loro esperienze e ne discutono. Il risultato è un “modello” dell’elefante che dimostra che è un quadrupede con una proboscide e una coda, non un albero o un serpente. Lo si fa normalmente con il clima: non possiamo percepirlo nella sua interezza ma possiamo farne dei modelli basati sui dati che ci permettono di capire qualcosa di un sistema troppo grande per essere gestibile dalla sola mente umana.

Purtroppo, nella situazione attuale, il dibattito fra ciechi sul clima sembra generare soltanto botte da orbi, il che è proprio quello che succede in alcune versioni della storia. Riusciremo mai a trovare un accordo per capire cos’è veramente questa misteriosa bestia che abbiamo davanti? Riusciremo a fare qualcosa per evitare di esserne calpestati a morte? Forse. Ma se non ci riusciamo ci penserà mamma Gaia (un altro iperoggetto difficile da comprendere) a decidere il nostro destino.

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