C’è ancora (Miyazaki) domani? Il successo straripante al box office italiano di Il ragazzo e l’airone, dodicesimo lungometraggio del regista giapponese di film d’animazione Hayao Miyazaki, somiglia molto alla progressione di numeri e cifre a sei zeri del film di Paola Cortellesi. Dal primo gennaio, in tre giorni di programmazione, tra cui due feriali, Il ragazzo e l’airone ha incassato circa due milioni di euro: risultato davvero imponente (al massimo con Si alza il vento nel 2013 Miyazaki era arrivato a un milione di euro in diverse settimane di programmazione) che segna peraltro il singolare record del primo film giapponese in testa agli incassi nella storia delle sale italiane.
Complicato capire che tipo di pubblico ha improvvisamente affollato le sale in queste ultime 72 ore, compreso chi scrive in un cinema da 120 posti letteralmente sold out, anche se la mancanza di un vero e proprio film d’animazione per il periodo delle feste ha forse incuriosito una bella fetta di pubblico (in tre giorni 265mila spettatori) che non conosceva il cinema di Miyazaki e che, secondo logica dei numeri, sta facendo un discreto passaparola.
Complicato rimane anche decifrare l’incantato, fascinoso, sempre indimenticabile doppio mondo d’ispirazione scintoista che viene rappresentato nei film di Miyazaki. Quel regno magico dove spirito e corpo animale, vegetale e minerale (le pietre, nel caso de Il ragazzo e l’airone) si mescolano e si sovrappongono con quello dell’essere umano creando una condizione irripetibile di sospensione dell’incredulità che ha fatto storia nell’animazione giapponese e mondiale.
Durante la seconda guerra mondiale, Mahito perde la madre nell’incendio di un ospedale a Tokyo. Così suo padre Shoichi, proprietario di una fabbrica di munizioni, sposa Natsuko, la sorella della moglie, e si trasferisce da lei in una ampia magione lacustre, brulicante di un manipolo di rugose e vecchie zie, e vicina ad una torre misteriosa immersa nel bosco, voluta dal vecchio prozio di famiglia, che pare però inaccessibile agli umani. L’invadente, buffa e continua incursione di un airone cinerino “ficcanaso”, che tampina Mahito con il ricordo e l’ipotesi di incontrare sua madre; il difficile rapporto con i compagni di scuola che spingono il ragazzo a farsi male da solo con una pietra sulla tempia; e l’improvvisa sparizione tra i boschi della nuova gentile e dolce mamma (incinta), portano il ragazzo, una vecchia zia e l’airone alla ricerca della matrigna tra le intricate vegetazioni, quindi al trapasso nel “mondo di sotto”.
È lì che Il ragazzo e l’airone svolta e piega nel fantastico miyazakiano dove Mahito prima viaggia in uno spazio oceanico dove segue una pescatrice maga che con il suo pescato gigante rifocillerà gli warawara (esserini simili a spermatozoi che volano nel mondo di sopra per rinascere); viene salvato dai pellicani famelici grazie ai poteri di fuoco della maga Himi; visita il mondo dei colorati, sinistri, abnormi militareschi parrocchetti; infine giunge attraversando corridoi e stanze alla 2001, al cospetto del prozio creatore dei destini del cosmo sotto l’egida dello spirito di una grossa pietra intento a suggerire onori e oneri al suo giovane parente designato suo successore. Sarà in grado Mahito di rimettere in equilibrio sfere, parallelepipedi e cubi per modellare dal “mondo di sotto” un “mondo di sopra” migliore? O tornerà nel mondo reale, confessando le sue bugie, limiti e idiosincrasie, dedicandosi indefesso al disegno e all’animazione?
Segnato e sospeso da una dominante cromatica del verde dal tratto impressionista, intinto a piene mani a livello di scrittura sull’omonimo libro di Genzaburo Yoshino ma soprattutto sul riconoscimento biografico del giovane Miyazaki, Il ragazzo è l’airone è ulteriore summa di quello che il critico Paolo Mereghetti scrive sul suo dizionario da decenni sui film del regista giapponese, assegnandogli comunque voti altissimi: intreccio a tratti “farraginoso”, ma talento visivo sempre “ai massimi livelli”.
Farraginosità che per Il ragazzo e l’airone è questione comunque molto meno evidente rispetto a molti titoli del passato, proprio perché l’afflato animista scintoista (“la pietra non è felice”) dell’autore giapponese, sempre più intriso di seriosa dolente maturità filosofica, meno frivolo e meno esposto al fascino della sua pur magniloquente rappresentazione animata, si presenta compatto e asciugato dal suo tipico profluvio di divagazioni e minuscole sotto trame.
Anche questa sorta di densità dell’immagine, ottenuta dall’oramai naturale incastro di animazione tradizionale e digitale, aiuta a sostenere l’organicità simbolica e metaforica del doppio mondo – reale/fantastico, uomo/animale-vegetale-minerale – che risulta magicamente spalmata su un unico incantato piano spaziotemporale. Infine, i grandi temi della responsabilità sociale e politica del singolo (l’aleggiare della guerra totale e distruttiva è molto impellente) e del lutto individuale da superare (qualcosa che fa male profondamente nello spirito del protagonista) si mescolano con grazia e misura alla non immediata decifrazione dell’ironia dei personaggi di contorno, come alla sostanza dei poteri magici e alle materiali sliding doors narrative.
In fondo Miyazaki con Il ragazzo e l’airone ci vuole raccontare il dolore della perdita, l’insicurezza e l’inadeguatezza presenti nel conto di un futuro intelligibile. Materia universale che rimane addosso allo spettatore come nella scena degli infiniti pezzi di carta che si appiccicano sulla pelle del protagonista intento a risvegliare una figura femminile dai tratti materni inafferrabile. Consigliato più agli over 18 che ai piccoli piccoli e probabilmente ultimo film di Miyazaki (83 anni) che già aveva paventato il ritiro dieci anni fa dopo Si alza il vento.