Su 18 imputati che hanno scelto il rito abbreviato, 14 sono stati condannati. La sentenza del processo “Nuova Linea” contro le cosche di Scilla è arrivata ieri poco prima di mezzanotte, quando il gup Margherita Berardi ha letto il dispositivo nell’aula bunker di Reggio Calabria. Con 4 sole assoluzioni e nonostante per diversi imputati sia caduta l’aggravante mafiosa, l’impianto accusatorio della Dda ha tutto sommato retto in primo grado al termine del processo nato da un’inchiesta dei carabinieri che vede alla sbarra esponenti di primo piano della cosca Nasone-Gaietti, inserita nell’orbita della più potente famiglia Alvaro di Sinopoli.

Un’indagine che nel settembre 2022, pochi mesi prima dello scioglimento del Comune di Scilla per infiltrazioni mafiose, aveva portato a più di 20 arresti e quasi 40 indagati tra cui amministratori locali come il sindaco Pasqualino Ciccone, accusato di scambio elettorale politico-mafioso, e suo fratello, l’avvocato Gaetano Ciccone. Anche lui ex primo cittadino, quest’ultimo è sotto processo per traffico di influenze con l’aggravante di aver favorito la cosca di Scilla. Entrambi sono imputati nell’altro troncone di “Nuova Linea” perché hanno scelto il rito ordinario assieme al consigliere comunale Girolamo “Gigi” Paladino accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. A parte qualche imprenditore locale, in abbreviato è rimasta l’ala militare della cosca egemone nel territorio della località turistica in provincia di Reggio Calabria.

La pena più pesante, 20 anni di carcere, è stata quella rimediata dal boss Giuseppe Fulco. È lui il personaggio chiave dell’inchiesta coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Walter Ignazitto e dai sostituti della Dda Nicola De Caria e Diego Capece Minutolo. Nipote del defunto boss Giuseppe Nasone e reggente attuale della cosca, Fulco ha già scontato 20 anni di reclusione per mafia. Scarcerato nel 2018, infatti, stando alla ricostruzione del Reparto operativo dei carabinieri, all’epoca guidato dal colonnello Massimiliano Galasso, il boss Fulco è tornato nel suo “locale di ‘ndrangheta” e ha ripreso le redini dei Nasone-Gaietti creando “una linea di comando che avesse l’avallo della cosca Alvaro di Sinopoli”. Da qui, il nome “Nuova linea” dato all’inchiesta antimafia nel cui fascicolo sono state riversate numerose intercettazioni dove era lo stesso boss Fulco a spiegare le regole: “A Scilla si fa quello che dico io, quando lo dico io e come cazzo voglio io”. “Forse non hai capito, prima di respirare me lo dice a me”.

Dagli imprenditori, che per ogni lavoro pubblico dovevano pagare la mazzetta, agli amministratori locali: tutti erano tenuti a dare conto al boss al quale dovevano rivolgersi anche i commercianti di Bagnara per vendere il pesce spada a Scilla. Attraverso un prestanome, infatti, Fulco gestiva una pescheria e pretendeva il monopolio del pesce: “Perché qua avete confuso, qua siamo! I forestieri siete voi, noi siamo i paesani – si sente in un’intercettazione – Tu prendi il pesce e glielo puoi dare in America ma non che glielo dai a questo. Buttalo a mare, daglielo a un altro, è di Scilla, ma non a lui”. E ancora: “Allora ogni pesce spada che prendi qua, mi dai a me cento euro”. Le stesse raccomandazioni di Fulco valevano per i ristoratori. A uno di questi, il boss ha prima prospettato un’alternativa (“Non vuoi il pesce? Ok prendi cento euro a settimana e me li porti”) e poi è passato alle maniere forti: “Se vedo che ti prendi i pesci dai forestieri, io sparo prima a loro e poi tra io e te, noi siamo”.

Non solo estorsioni. Il “core business” della cosca, stando agli inquirenti, era quello delle concessioni per i lidi. Nelle carte dell’inchiesta, infatti, c’è scritto che il boss Fulco e altri tre indagati (che hanno scelto il rito ordinario) “ottenevano dai dipendenti pubblici del Comune di Scilla e, quindi, da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, informazioni relative alle procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione di nuove concessioni demaniali marittime previste nel ‘piano comunale di spiaggia’ quando il relativo bando di gara era in corso di redazione e, quindi, coperto da segreto”. Per i magistrati, “Fulco riusciva anche a conoscere il valore dell’offerta economica dei concorrenti”. Grazie ai contatti nel comparto amministrativo dell’Ente, la ‘ndrangheta “si ingeriva nella vita politica del Comune di Scilla, nonché nella procedura delle concessioni demaniali relative alla gestione dei lidi balneari”. Ritornando alla sentenza, i 20 anni inflitti al boss sono gli stessi che, nel corso della requisitoria, aveva auspicato la Procura. I pm, però, avevano chiesto pene più alte per gli altri imputati che sono stati, in ogni caso, condannati in primo grado. Tra questi ci sono Antonino Nasone (15 anni e un mese di carcere), Alberto Scarfone (11 anni e 2 mesi), Angelo Carina (10 anni e 8 mesi) e Fortunato Praticò (10 anni e 8 mesi).

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