di Romina Mandolini
Lo stato di salute delle nostre democrazie è legato alla perdita di sovranità degli Stati a favore di organismi privati e/o transnazionali non eletti da alcun cittadino con il conseguente svilimento della rappresentanza democratica e del ruolo di governo della politica. Soggetta ai limiti e vincoli fissati da “altri” in “altre” sedi, aggravati dal fatto che i trattati europei hanno privilegiato l’economia e la finanza a scapito del diritto e della politica. Tanto che sono i grandi poteri privati a condizionare le politiche nei Paesi, il che la dice lunga sulla falsa pretesa dei sovranismi di difendere l’interesse nazionale mentre i veri “sovrani” sono oramai altrove.
Ci sono, tuttavia, almeno due aspetti di questa cessione di democrazia che aggravano la situazione.
Il primo, ça va sans dire, è rappresentato dai politici e la scelta di subordinarsi a questi poteri. Da qui l’avallo a politiche disumane e antiumane verso i ceti più deboli che passano sempre per lo smantellamento del sistema costituzionale dei diritti e delle garanzie, cui questi “poteri” dimostrano di essere per loro natura fortemente allergici. Riduzione dei salari, smantellamento delle tutele, la precarietà, il ripristino della schiavitù. L’avallo a scorribande che hanno impunemente depredato e dissolto il patrimonio industriale del Paese. L’attacco ai diritti sociali con i continui tagli all’assistenza sanitaria pubblica, all’istruzione, alla cultura, alle forme di inclusione sociale e di sostegno per i più fragili. Tutti gli attacchi alla nostra Costituzione tramite i ben noti tentativi di riforma, non ultima l’attuale.
Il secondo è una diretta conseguenza del precedente. Una classe politica che non risponde più al suo elettorato diventa autoreferenziale e degrada a “casta”, spianando la strada all’astensionismo, primo partito in Italia. Essere riluttanti verso una politica ridotta a semplice apparenza è legittimo, ma disinteressarsi dei danni che ne derivano è meschino e non meno riprovevole.
Nel nostro Paese c’è una nefasta remissività o condiscendenza subdola, giustificata – quando non dal proprio tornaconto – dall’errato convincimento che tanto le cose non cambieranno mai. Purtroppo per tutti le cose cambiano eccome e mentre il gregge di cittadini belanti si illudono che basti il logorroico lamentarsi giornaliero o la falsa retorica contro tutte le ingiustizie, di qua ci sono forze più che mai sveglie, impegnate a smantellare, razziare e demolire.
Le guerre e il pericolo di un conflitto atomico globale, la crisi climatica, il dilagare della povertà e delle ingiustizie sociali, il dramma dell’immigrazione. Sciagure legate a decisioni politiche mai prese o dettate da particolarismi di varia natura, ci obbligano a tornare con forza alla certezza del diritto come disciplina dell’azione politica. E’ improrogabile appellarsi a valori comuni, principi universali a garanzia dei diritti e della sopravvivenza di ognuno, grazie a una classe dirigente credibile, onesta, coraggiosa capace di provare empatia e sentimenti di benevolenza. Istanze che si concretizzeranno pienamente solo quando i cittadini ne manifesteranno pienamente l’urgenza. Non con la violenza, che genera sempre nuova tirannia, ma costringendo la politica a farsi mediatrice, imprenditrice, interprete, realizzatrice di questi bisogni e mostrandosi fermi e intransigenti contro ogni cedimento.
La nostra meravigliosa Costituzione e le innumerevole Carte dei Diritti sono “fari” capaci di traghettarci fuori da questa oscurità ma per la riuscita di questa trasformazione la partecipazione attiva è imprescindibile al pari dei molti doveri civici e morali in capo ai cittadini. Armi, armature e scudi di cui munirsi per l’unica guerra che valga la pena combattere, quella contro la barbarie della coscienza che partorisce i vermi della guerra, della sopraffazione e della crudeltà erette a valori.
Non c’è più molto tempo.
[Letture consigliate L. Ferrajoli, “La democrazia attraverso i diritti”, Laterza]