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Israele e gli omicidi mirati dei dirigenti di Hamas: una possibile svolta nella guerra

di Claudia De Martino

Il 2 gennaio Israele ha assassinato il leader di Hamas Saleh al-Arouri, insieme ad altre sei persone, in un omicidio mirato perpetrato da due droni lanciati da jet israeliani nella roccaforte di Hezbollah, a Dahiyeh, alla periferia sud della capitale libanese. L’attentato, condotto dal Mossad, il temibile servizio di intelligence esterna israeliano, potrebbe segnalare un cambio di strategia nella “guerra al terrore” che Israele conduce dal 7 ottobre scorso, adesso più interessata a “decapitare” l’organizzazione ai vertici che a continuare ad esercitare la massiccia pressione militare sulla Striscia che ha già condotto alla morte di oltre 22.000 persone tra civili e miliziani. Un’opzione che sarebbe confermata anche dalla recente notizia sul ritiro di cinque brigate dell’IDF, equivalenti a varie migliaia di uomini (si calcola che rimarranno circa 170.000 soldati attivi nella Striscia dei 330.000 mobilitati inizialmente) per una “riconfigurazione” dell’esercito in vista dell’avvio di una terza fase, dopo i bombardamenti aerei del 7 ottobre e l’invasione di terra del 27 ottobre scorso.

Saleh al-Arouri, storico membro di Hamas dalla sua fondazione (1987) e vicepresidente dell’Ufficio politico, era nato nel 1966 nella città di Aroura in Cisgiordania, in una casa demolita dall’IDF all’inizio della guerra, ed era assurto al potere come dirigente dell’organizzazione dal 2010, dopo esser stato liberato da 15 anni di prigionia, ricoprendo vari incarichi fino a quello di vicepresidente, assunto nell’ottobre 2017. Era considerato il leader di Hamas in Cisgiordania, molto vicino alle Brigate Izz al-din a-Qassam ma anche un mediatore all’interno dell’organizzazione, avendo partecipato ai negoziati sul rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito nel 2011 – che avevano portato alla liberazione del “ricercato numero uno” Yahya Sinwar, attuale capo militare della Striscia e mente degli attentati del 7 ottobre, , insieme ad altri 1026 prigionieri politici palestinesi – e a vari round di riconciliazione tra Hamas e al-Fatah nel 2020, con l’intento di procedere a nuove elezioni, poi cancellate dal Presidente Mahmud Abbas.

Nel 2015 era stato espulso dalla Turchia su richiesta di Israele come mandante dell’assassinio di tre teenagers a Gush Etzion l’anno prima e da allora risiedeva a Beirut, dove aveva favorito il riavvicinamento tra Hamas, Hizbullah e l’Iran dopo la rottura operata dall’organizzazione palestinese con l’”asse della Resistenza” in Siria nel 2012, quando Hamas si schierò a favore delle sollevazioni popolari nelle Primavere arabe.

Dal riallineamento operato con l’Asse della Resistenza guidato da Teheran, Hamas aveva tratto grandi vantaggi militari, riorganizzando il proprio movimento sulla base della struttura agile e al contempo gerarchica, nonché tecnologicamente avanzata di Hizbullah. In particolare, aveva imparato a puntare sulla tecnica dei tunnel e creato un’unità di élite– la Nuhba – appositamente dedicata ad operare sottoterra su modello della forza Radwan di Hizbullah.

Al-Arouri condivideva, inoltre, la logica del generale iraniano Soleimani, ucciso dagli Stati Uniti nel 2020, di perseguire una strategia multifocale basata sulla costruzione di un “anello di fuoco” intorno ad Israele, potenzialmente attivato da un solo comando – o da un comando congiunto -, ma articolata su forze eterogenee operative da scenari diversi come il Libano, la Siria, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, l’Iraq e persino il lontano Yemen (come oggi gli attacchi Houthi confermano). Il comando congiunto stabilito tra Hamas e Hizbullah avrebbe autorizzato Hamas, come già avvenuto, a perpetrare lanci di razzi dal sud del Paese verso il nord d’Israele anche senza il coinvolgimento diretto di Hizbullah, dunque complicando il quadro politico e diplomatico per Tel Aviv.

L’obiettivo iniziale era quello di creare delle frizioni continue con l’IDF- una sorta di “guerra d’attrito”, appunto simile a quella che Hizbullah conduce ormai nel nord dal 7 ottobre scorso- per provocare un’allerta continua nelle regioni del nord, tale da pregiudicare la sicurezza delle comunità presenti in un raggio di 10 km dalla frontiera. Poi, dopo l’attacco di Hamas su Israele non coordinato con le altre forze dell’Asse, il quadro è cambiato e Hamas si è ritrovato solo ad affrontare una guerra su vasta scala in cui i suoi alleati avevano segnalato, finora, l’intenzione di non voler rimanere coinvolti. Tuttavia, dopo questo assassinio mirato nel cuore della roccaforte del “partito di dio”, la situazione potrebbe virare rapidamente verso un’ulteriore intensificazione della guerra.

Al-Arouri era considerato uno dei più abili finanziatori di Hamas in Cisgiordania: dei 2.5 miliardi di dollari che costituivano il budget annuale dell’organizzazione, circa ¼ (600.000 milioni) andavano a finanziare spese militari. È probabile che eliminandolo, Israele abbia deciso di infliggere un colpo mortale al finanziamento dell’organizzazione, attraverso il quale l’ala militare della Striscia riesce ancora, dopo quasi tre mesi, a proseguire la guerra pagando i suoi circa 15.000 miliziani restanti (dei 23.000 iniziali, considerata l’uccisione di circa 8000 di essi da Israele). È infatti probabile che, se i soldi, trasferiti tramite criptovalute o hawala, non raggiungessero più la Striscia, molti miliziani di Hamas diserterebbero o si arrenderebbero.

Tuttavia, l’azione terroristica può essere stata perpetrata da Israele anche con un altro fine: quello di segnalare ai suoi alleati, ovvero agli Stati Uniti, che il ritiro della grande portaerei nucleare Gerald R.Ford, appena ordinato da Washington, sia quanto mai prematuro, in vista di una nuova escalation con Hizbullah e l’apertura di un secondo fronte di guerra nel Mediterraneo orientale. Un obiettivo che in Israele avrebbe un forte supporto popolare, almeno secondo i dati appena pubblicati (gennaio 2024) dall’Istituto di Democrazia israeliano (IDI), secondo cui il 66% preme per una prosecuzione della guerra, anche se con altre priorità, come l’eliminazione mirata dei capi di Hamas ovunque si trovino e il ritiro di Hizbullah oltre il fiume Litani. Un obiettivo che l’IDF ha stimato possibile raggiungere solo attraverso un conflitto militare: proprio quello che l’assassinio di al-Arouri, e forse addirittura l’attentato terroristico al mausoleo di Soleimani in Iran, potrebbero innescare.