Ho assistito ieri in tv su La7 (ancora libera dai condizionamenti Rai e Mediaset) alla conferenza stampa della nostra premier Meloni, curioso di conoscere, dopo il lungo (per il periodo in cui è avvenuto) tempo della sua assenza dallo scranno di comando che le appartiene, ma conscio anche di poter valutare (per conoscenza diretta dei posti di lavoro con responsabilità gestionali) la sua giustificazione su quel vuoto quasi totale dalla plancia di comando.

Per dire la mia, devo dire che mi ha deluso. I veri manager e i veri leader sanno comandare e guidare anche quando hanno la febbre. La sua quasi totale assenza, invece, proprio sulle questioni più spinose poteva quindi indicare solo la sua grande abilità politica nello slalom oratorio che consente appunto di aggirare gli ostacoli, ma senza entrare nel nocciolo dei problemi veri.

Una assenza, peraltro, che proprio sul piano politico si è mostrata in pieno in occasione delle gravi dimostrazioni di inesperienza (politica e istituzionale) data dai suoi diretti collaboratori politici. La platealità, anche gestuale, del Donzelli in difesa dei (compagni, fratelli o camerati?) di partito rasenta la teatralità degli scioglilingua sciorinati dai comici, senza raggiungere peraltro l’efficacia dei “vaffa” che solo il Grillo del periodo d’oro riusciva a fare. Ma la gravità della pistola che spara proiettili veri all’interno di un’area che avrebbe dovuto sentire solo gli spari delle bottiglie di spumante classico nostrano non doveva aspettare nemmeno un minuto dall’essere seguita da una immediata espulsione del suo autore. Il vulcanico Boris Johnson, premier britannico di Sua Maestà (presente ancora la Regina Elisabetta), per qualcosa di simile ma molto meno grave ha dovuto fare le valigie già il mattino del giorno dopo.

Il top dell’arroganza (pseudo-fascista) è stato raggiunto però dal potente cognato Francesco Lollobrigida, che allo scopo di fare una banalissima inaugurazione (bandierine colorate e taglio del nastro) di qualche iniziativa pubblica qualunque si è sicuramente permesso di pronunciare (ad evitare l’immediato arresto) la famosa frase (nell’occasione rivolta al capotreno) : “…ma lei non sa chi sono io!”, sufficiente infatti a superare ogni ostacolo, e persino ogni reprimenda, che sarebbe indubbiamente stata applicata a chiunque altro – privo di quella solenne relazione parentale – avesse provato a fermare un super rapido FrecciaRossa già lanciato verso le sue destinazioni.

Il “familismo” e il “cesarismo” sono peraltro due caratteristiche abbastanza note dei governi decisionisti che però, quando sono ancora nella fase embrionale, solidi nelle loro certezze, lamentano tuttavia varie “sindromi” da accerchiamento operate dalle opposizioni che, come sempre, preferiscono il “discutere” al sempre necessario “fare” il più in fretta possibile. Dimenticando però che è già successo, nel secolo scorso a chi preferiva decidere prima di meditare, di annunciare quelle maledette “decisioni irrevocabili” che hanno scritto poco dopo la parola fine su ogni sogno di grandezza.

Tuttavia Meloni, invece di ricordare queste cose ai suoi adepti e navigare tranquillamente nella sua vincente “area conservatrice”, preferisce lamentare, nel suo recente incontro coi giornalisti, gli “attacchi scomposti dei suoi oppositori” contro il suo “partitello” cresciuto troppo in fretta nel fango di una esperienza politica che a lei converrebbe invece abbandonare per sempre, il più in fretta possibile e senza alcun rimpianto.

A questo punto, dall’alto della sua poltrona e del consenso ottenuto che nessuno si aspettava, le converrebbe invece liberarsi subito di quella “zavorra nostalgica” ancora presente nel suo partito e che non può in alcun modo restare nel partito che uscirà dalle prossime elezioni in rappresentanza dell’Italia e dei “conservatori” europei, ma nell’insieme, di un modello che rappresenta ancora, in tutta l’Europa, il meglio tra tutte le democrazie evolute.

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