Il 1 gennaio 2024, alle ore italiane 8:10 (ora locale 16:10) è avvenuto in Giappone un terremoto di magnitudo 7.6 (calcolata dal servizio sismico/meteorologico del Giappone: Japan Meteorological Agency, o JMA). Il terremoto è avvenuto sulla costa Ovest del Giappone, nella prefettura di Ishikawa, ad una profondità compresa tra 10 e 20 km (variabile in questo intervallo a seconda delle Agenzie internazionali che hanno calcolato la localizzazione ipocentrale). Il terremoto è stato provocato dalla dislocazione su di una faglia lunga oltre 200 km, orientata in direzione NE-SW, come calcolato dal Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS) (https://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us6000m0xl/finite-fault).
Poiché gran parte della faglia è localizzata in mare, il terremoto ha provocato un maremoto (tsunami in Giapponese), fortunatamente di piccole dimensioni, e comunque annunciato dal sistema di allerta, che aveva anzi previsto altezze d’onda fino a 3-5 metri, mentre l’altezza massima effettivamente rilevata è stata di 1.2 metri. I maremoti sono prodotti dai terremoti quando questi causano un forte spostamento verticale del fondale, che smuove significativamente la colonna d’acqua sovrastante; possono poi essere prodotti da frane in mare o da eruzioni vulcaniche sottomarine.
Il Giappone è una delle zone sulla Terra a maggiore pericolosità sismica, poiché è situato alla confluenza di ben quattro grandi zolle tettoniche: Euroasiatica, Nordamericana, Pacifica e Filippina. I terremoti più forti in quest’area possono superare magnitudo 9, possono cioè essere circa 1000 volte più forti, in termini energetici, dei terremoti di massima magnitudo che possono avvenire in Italia (di poco oltre magnitudo 7).
Sebbene nel passato, anche abbastanza recente, questi terremoti estremi abbiano comunque causato talvolta decine e decine di migliaia di vittime, il Giappone oggi ha una resilienza invidiabile rispetto a questi eventi catastrofici. E’ importante sottolineare che il rischio sismico, come tutti i tipi di rischi naturali, è dato dal prodotto della pericolosità sismica (ossia la probabilità che accadano terremoti di determinate magnitudo), che ovviamente non è modificabile dall’uomo, moltiplicato il danno atteso, che è dato a sua volta dal prodotto del valore esposto per la sua vulnerabilità. Il valore esposto qui è rappresentato principalmente dalle città del Giappone, notoriamente densamente popolate ad un livello anche maggiore del nostro paese, con i loro abitanti. La vulnerabilità, nel caso sismico, è rappresentata dalla resistenza degli edifici alle sollecitazioni sismiche. Bassa vulnerabilità significa edifici ben costruiti e molto resistenti; alta vulnerabilità significa edifici fatiscenti.
Le città giapponesi sono costruite tenendo presente l’altissima pericolosità sismica, e quindi con i più avanzati criteri antisismici, in modo da abbassare la vulnerabilità e di conseguenza il rischio. Prendendo proprio l’esempio di questo terremoto, esso ha causato (aggiornamento al 3 gennaio) soltanto 64 vittime; in Italia, il terremoto di Amatrice del 24 Agosto 2016 fece 299 vittime. Ma il terremoto di Amatrice aveva una magnitudo di 6.0; ricordiamo che ogni grado di magnitudo corrisponde ad un fattore di circa 32 in termini di energia (secondo la formula: LogE=11.8+1.5M), pertanto il terremoto recente del Giappone è stato circa 250 volte più forte di quello di Amatrice. Dal 1900 ad oggi, nessun terremoto in Giappone di magnitudo inferiore a 7 ha prodotto vittime.
Negli ultimi 50 anni in Italia, il terremoto Irpino del 1980, di magnitudo 6.9, fece oltre 3.000 vittime; il terremoto del Friuli del 1976, di magnitudo 6.5, causò 990 vittime; il terremoto di L’Aquila, di magnitudo 5.9, 309 vittime; il terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, magnitudo 5.4, 30 vittime (bambini di una scuola crollata). Ma nel nostro paese anche un terremoto di magnitudo 4.0, avvenuto a Casamicciola, isola d’Ischia nel 2017, ha causato 2 vittime ed enormi danni. Questo perché, nel confronto con il Giappone, nonostante la pericolosità sismica sia da noi molto minore ed il valore esposto molto simile, la vulnerabilità degli edifici è molto maggiore.
Il problema riguarda principalmente le costruzioni antecedenti al 2009, anno in cui è entrata in vigore la prima versione della nuova normativa sismica, molto stringente. E’ quindi estremamente urgente, in Italia, far partire un piano per il consolidamento antisismico degli edifici più vulnerabili, a partire da quelli nelle zone sismicamente più attive (ad esempio nell’Appennino Centrale e Meridionale, nelle Alpi Orientali, in Calabria e Sicilia). In Italia, infatti, dove i processi tettonici non producono magnitudo estremamente elevate, non sono i terremoti ad uccidere, bensì gli edifici costruiti male o lasciati invecchiare senza manutenzione.