Entrambi classe 1964, Ivano Bonetti e Gianluca Vialli si conoscono da bambini, quando il primo faceva le giovanili a Brescia e il secondo a Cremona, qualche decina di chilometri più in là. Iniziano a frequentarsi a Genova nel 1984, arrivati calcisticamente su sponde opposte della città. Nel 1987 insieme a Ferrara, Mauro, Pioli, Baldieri, Pellegrini, Gambaro, Cucchi, Notaristefano e Carboni conquistano il Mondiale Militare ad Arezzo, poi nel 1990 Bonetti raggiunge Vialli alla Sampdoria, vincendo insieme lo scudetto e arrivando l’anno dopo in finale di Coppa dei Campioni. Sono rimasti amici fraterni fino all’ultimo, fino alla scomparsa di Vialli il 6 gennaio 2023, esattamente un anno fa. Negli ultimi mesi avevano passato tanto tempo insieme nella speranza di ottenere la presidenza dell’amato Doria. Oggi Ivano Bonetti vive in Romagna e alla carriera di allenatore preferisce quella di istruttore privato di giovani calciatori così “insegno al bambino a pensare da solo. Se il bambino avesse la possibilità di giocare come facevamo noi, imparerebbe autonomamente. Deve esprimersi e tirare fuori quello che ha. Formatori veri ce ne sono pochi in giro, gli allenatori nelle giovanili vogliono solo vincere, ma allora vai ad allenare i grandi”. E intanto si occupa di tenere in vita la “Fratellanza blucerchiata“.
“Ho ideato un braccialetto da regalare ai miei compagni in ricordo dello scudetto vinto nel 1991, poi hanno cominciato ad arrivare molte richieste: nato dal cuore, ora è un progetto che cresce anche a livello benefico. Con il ricavato e l’aiuto di Roberto Mancini abbiamo acquistato dalla famiglia Vialli la sua Cadillac, che era stata messa all’asta per beneficenza. La ritireremo nei prossimi giorni, ci costruiremo qualcosa attorno, sempre nel segno di Luca e della Fratellanza blucerchiata. Per tenerli vivi”.
Era un’auto speciale?
“Sì, l’avevo vista io ad un’asta e presa per conto di Luca nel 1991, io sono sempre stato appassionato d’auto. L’abbiamo usata molto nei giorni dello scudetto, andando anche al campo, anche se inizialmente aveva una targa straniera. Poi Luca è andato alla Juventus e l’ha portata a Cremona. Noi due eravamo scapoli e amici, ci frequentavamo tutti i giorni”.
Cosa aveva di speciale Vialli?
“Era innamorato della vita e viveva per stare bene e per fare stare bene gli altri. Avevamo gli stessi valori. Ragazzo positivo e costruttivo. Vedeva il bicchiere sempre mezzo pieno, viveva nella speranza che succedesse qualcosa di positivo. Poi non sempre nella vita arriva il buono ma quel tempo passato nella ricerca lo hai vissuto bene. Ecco sapeva godersi il presente. Condividere tempo con lui è stata una felicità”.
Negli ultimi mesi siete stati vicini anche dal punto di vista professionale?
“Siamo stati coinvolti esternamente da un gruppo che sembrava lì lì per acquistare la Sampdoria. Luca si portava sempre avanti con il lavoro e per un anno ci siamo sentiti e visti per pensare al futuro. Diventare il presidente della Sampdoria era il suo sogno principale. Era attaccato molto alla sua famiglia e voleva far rivivere a loro i luoghi e gli anni della sua giovinezza. Nel nuovo corso societario avrebbe voluto riportare il vecchio stile della Sampdoria. Serietà, principi, idee: ci sarebbe riuscito alla grande”.
Ma siete stati davvero così vicini?
“Non te lo so dire con precisione. Noi non eravamo parte di nessun gruppo, siamo stati contattati con la prospettiva che sarebbe potuto succedere. Noi da persone positive eravamo speranzosi di aiutare la Samp. Contento di essere stato vicino a lui per mesi e che comunque la Samp si sia sistemata, perché rischiava davvero molto”.
Come ha vissuto quel 6 gennaio di un anno fa?
“Non te lo aspetti mai. L’avevo visto l’ultima volta alcune settimane prima, quando abbiamo presentato il documentario La Bella Stagione. Era molto provato, ma io lo vedevo invincibile e se ne è andato via da invincibile perché era uno che non mollava mai. Faccio fatica ad accettare la sua assenza anche ad un anno dalla scomparsa. L’immagine che ho davanti è ancora quella con la maglia blucerchiata. Mi capita spesso di sognarlo: giovane, forte e sorridente”.
Era uguale dentro e fuori dal campo?
“Il campo rispetta il carattere che uno ha. Lui amava prepararsi, dava tutto e voleva raggiungere il risultato. In campo era così. Sempre una parola buona per il compagno, aiutava tutti. Prima dava l’esempio e poi trascinava”.
Ma lui e Mancini mettevano bocca sulla formazione?
“Assolutamente no. Certo avevano le loro idee, ma non incidevano sulle scelte dell’allenatore. Sennò Boskov non avrebbe talvolta lasciato fuori Cerezo, per Katanec che invece era un suo pupillo. Vialli e Mancini magari influenzavano di più le scelte dei giocatori. Vedi l’acquisto di Mychajlyčenko. Perché non lo prendiamo, suggerivano. Ma la vera forza di quella squadra era la società, forte e decisionale, perchè se comandano i giocatori non vinci mai niente. I giocatori non hanno la maturità per gestire un gruppo. Alla Sampdoria c’erano pochi dirigenti ma con due palle così. Intelligenti, magari ti ascoltavano, ma decidevano loro. Luca voleva riportare alla Sampdoria lo stile di un tempo”.
Iconica è la foto in cui lei, Vialli e Cerezo vi presentate al campo con i capelli biondi dopo la vittoria dello scudetto.
“Stavamo andando a Torino a giocare contro la Juve. Possiamo vincere quest’anno, ma dobbiamo fare un voto, dico io nel bus. Con Luca e Cerezo optiamo per la tinta ai capelli, Pagliuca che era molto peloso per una depilazione totale, Attilio promise di mettersi la parrucca una settimana, qualcuno altro scelse l’orecchino. E dopo la partita decisiva con il Lecce mantenemmo le promesse”.