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In Niger i giornali si allineano al nuovo regime in attesa della promessa concertazione nazionale

Lo confessava oggi un amico giornalista di qui. Ha risposto sottovoce alla domanda sul motivo per cui, in modo così repentino, giornali, radio e giornalisti affermati si sono allineati col nuovo regime militare al potere nel Niger. ‘On fait semblant’, ha detto sottovoce. Tradotto significa ‘si fa per finta’… E ciò per evitare possibili problemi nel futuro e garantirsi pane e vita più tranquilla. Lui, che ha dato da poco le dimissioni dal giornale per il quale lavorava da anni, non esclude che alcuni lo facciano per convinzione. Come sempre nella vita reale le frontiere tra eroi, santi, navigatori e vigliacchi non sono facilmente tracciabili.

D’altra parte ammettiamolo. Quanto accade nei Paesi limitrofi e nel Niger appare come particolare e peculiare nel contesto dell’insicurezza dominante in questa ‘sponda’ chiamata Sahel. Regimi militari che, con reale e apparente appoggio di una parte significativa del popolo. conducono alleanze militari, economiche e politiche tra loro. Smantellano con decreti, ordinanze o leggi promulgate per la circostanza. Assetti diplomatici, militari e giuridici dei regimi precedenti sono rinegoziati o semplicemente cambiati. Il tutto, naturalmente, senza nessun avallo dell’Assemblea Nazionale, sciolta dal colpo di stato del 26 luglio.

Il Niger pare realizzare con indubbia creatività le differenti opzioni e possibilità delle repubbliche e democrazie come sono applicate e vissute oggi. Colpi di stato militari a scadenza decennale. Periodi intensi di transizione, eccezione e confusione. Omicidio di un capo di stato da parte della propria guardia presidenziale e, attualmente, arresti domiciliari dal presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Il tutto ad opera di militari e corpi speciali formati in particolare dagli Stati Uniti e occidentali. La conclusione non lascia adito a nessun dubbio. Contesti politici ed economici hanno posto i militari ‘arbitri’ del gioco.

Passati i tempi forti di giovani, bambini e adulti delle ‘oceaniche’ allo stadio e delle bandiere nazionali al vento di sabbia dei tricicli guidati da giovani coi caschi e le magliette al colore del Niger. Momenti forti attorno alle rotonde o alla neobattezzata piazza delle Resistenza attorno a quello che fu la base militare francese dell’aeroporto. Si passa ad altro in attesa della promessa concertazione nazionale che dovrebbe dettare le linee del futuro Paese sotto il sigillo della ‘sovranità’ senza concessioni. Dopo aver sospeso le emissioni radiofoniche di Radio Francia Internazionale, familiarmente RFI, adesso è il turno del sito web. Nulla di cui stupirsi se anche l’amministrazione della giustizia appare, come sempre, legata a doppio filo col potere dominante. Vari ministri del passato regime sono in custodia e non si scorgono prospettive per eventuali processi a loro carico. C’è un clima sociale che risente della pesantezza della crisi economica e soprattutto della ‘tristezza’ di un pensiero unico che sembra disegnarsi nel panorama politico del Paese. Difficile poter pensare ad uno scambio sereno, democratico e pluralista quando l’autocensura, facilitata dal contesto attuale, sembra privilegiare una e sola direzione al paese.

Verità e finzione passano frontiere porose dappertutto e il Sahel non è da meno. Terreno di presenza e conquista per multinazionali, gruppi armati, banditi, contrabbandieri, politici corrotti, militari come eroi e milioni di sfollati, rifugiati e migranti che immaginano la loro vita altrove. Ideologie fuori uso e analisi poco aderenti alla realtà si mescolano, come polvere al vento, con narrazioni di sovranità riconquistata a caro prezzo. Nel Niger e altrove, intanto, si perpetuano ricorrenti carestie e precarietà che il quotidiano vivere traduce in muto dolore. Solo il nostro popolo di sabbia saprà ritrovare il sentiero, abbandonato, della dignità.