Non solo gli ospedali in affanno e i pronto soccorso pieni oltre ogni limite delle proprie possibilità. La sanità italiana, nonostante le promesse di investimento dopo il Covid, si trova con liste d’attesa sempre più lunghe e a fatica soddisfa il diritto alla salute di tutti i cittadini e le cittadine. A certificarlo, pochi giorni fa, è stato lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, quando ha parlato delle “difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti” “con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi”. E i fondi stanziati nell’ultima manovra per la sanità, come denunciato dai tecnici, non sono sufficienti per far fronte al problema.

Intanto, mentre è difficile anche la mappatura Regione per Regione dei ritardi, a dare contezza del fenomeno sono gli ultimi report. Secondo quanto rivelato a fine dicembre dall’analisi del sistema di sorveglianza Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, tra il 2020 e il 2022, il 24% degli ultra 65enni italiani ha rinunciato a una visita medica o un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno. E la motivazione usata maggioramente è proprio quella delle liste d’attesa. “Il fenomeno della rinuncia alle cure negli anziani rappresenta una sfida cruciale per il servizio sanitario nazionale, perché ne riassume in un certo senso tutti i problemi maggiori”, ha affermato in una nota il commissario Iss Rocco Bellantone. La rinuncia, prosegue il report, riguarda almeno una visita medica o un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno. Ed è più grave nelle fasce sociali svantaggiate, in cui raggiunge il 37%. Nel complesso, il 31% ha dichiarato di aver rinunciato per timore del contagio da SarsCoV2; il 22% per la sospensione del servizio o la chiusura dello studio medico a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia; il 36% per le liste di attesa; il 7% per difficoltà nel raggiungere la struttura o per scomodità degli orari proposti. Infine il 5% riferisce che la rinuncia è stata determinata dai costi elevati e non sostenibili. “Se si guarda alle motivazioni per cui oltre 3 milioni di italiani over 65 dichiarano di non aver eseguito test o terapie importanti per la loro salute si vede che in più di un terzo dei casi il motivo la rinuncia è dovuta alle liste d’attesa troppo lunghe o per problemi comunque di tipo organizzativo, come la sede troppo lontana”, aggiunge Bellantone. Le motivazioni che hanno portato alla rinuncia hanno subito cambiamenti nel corso dei tre anni analizzati.

La sospensione dei servizi o la chiusura degli studi medici a causa della pandemia è stata indicata come motivazione nel 45% dei casi nel 2020, ma scende al 31% nel 2021 e al 13% nel 2022; il timore del contagio da SarsCoV2, indicato nel 9% dei casi nel 2020, passa al 17% nel 2021, e scende al 7% nel 2022. Al contrario, le liste di attesa passano dal 10% nel 2020 al 23% nel 2021 e raggiungono il 36% nel 2022; mentre le difficoltà di accesso alle cure sono riferite dal 4% dei casi nel 2020 e nel 2021 e aumentano all’11% nel 2022. “Il servizio sanitario nazionale nei suoi primi 45 anni è stato un supporto fondamentale nella crescita del Paese, riuscendo a garantire le migliori cure possibili alla popolazione con una equità e una qualità che ha pochi rivali nel mondo. Per mantenere questo suo ruolo però serve uno sforzo collettivo, senza colori politici, che consenta di fare una buona pianificazione in grado di superare i problemi emersi in questi anni, anche a causa della pandemia”, ha chiuso Bellantone.

Un quadro preoccupante delineato anche dal XXI Rapporto di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità (“Nel labirinto della cura”), presentato a metà dicembre scorso a Roma al ministero della Salute. A causa dei lunghi tempi di attesa, dice lo studio, e della mancata copertura da parte del servizio sanitario di alcune prestazioni, i cittadini sono costretti a sostenere spese private: il 67,8% lo fa per visite specialistiche effettuate in regime privato o in intramoenia; il 60,9% per l’acquisto di parafarmaci (per esempio per integratori alimentari, dermocosmetici pomate); il 55,4% per esami diagnostici; il 46,7% per la cosiddetta prevenzione terziaria (diete, attivita’ fisica, dispositivi); il 44,6% per l’acquisto di farmaci necessari e non rimborsati dal servizio sanitario. Secondo il rapporto, il 76% dei pazienti con malattia cronica e rara si confronta con le liste d’attesa al momento della prenotazione delle prime visite specialistiche; il 68,7% quando ha a che fare con gli esami diagnostici; il 62,4% con le visite di controllo e il follow-up; il 60% con il riconoscimento invalidita’ civile e/o accompagnamento; il 51% con il riconoscimento handicap; il 48,8% per l’accesso alla riabilitazione; il 44,4% con gli screening istituzionali (cioe’ quelli per la diagnosi precoce dei tumori della cervice uterina, della mammella, e del colon retto).

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

“Fare esercizio fisico al freddo fa bruciare più grassi e favorisce la perdita di peso”: ecco cos’è il “browning” e come funziona

next
Articolo Successivo

Che cosa è la pseudodemenza e perché non va confusa con l’Alzheimer: “Questa è una condizione reversibile”. Ecco i sintomi a cui prestare attenzione

next