di Marco Pozzi

Da sempre, particolarmente nell’ultimo periodo, le notizie sulle novità tecnologiche toccano gli argomenti più alti, suggestivi, futuristi: intelligenza artificiale, chatGPT, machine learning, scoperta di nuovi farmaci, generazione di testi, immagini, video, con mirabolanti impatti sulla società. Eppure, oggi molti non hanno accesso alla rete e non tutti hanno ancora chiara la differenza fra un sito web e una mail.

Il Digital Economy and Society Index cerca di misurare la situazione digitale nei paesi europei. Alcuni numeri servono anche per approcciare il tema dell’accessibilità digitale, che coinvolge le persone con disabilità. Come l’accessibilità fisica è la possibilità di accedere a luoghi, spazi, edifici, l’accessibilità digitale è la possibilità di accedere ai contenuti digitali (app, siti web, documenti, servizi, software, hardware).

Si stima che il 73% delle persone con disabilità oggi non possa completare una transazione di base su più del 25% di siti web visitati. Alcune cause sono: incompatibilità con lo Screen-Reader (strumento che usano le persone non vedenti per navigare); incompatibilità con la navigazione da testiera (per chi non può usare il mouse, al limite chi comanda il pc con le palpebre perché immobilizzato), esclusione di persone con disabilità cognitive (a causa della struttura complesse dei siti, o per l’uso di font e colori), l’esclusione di chi soffre di epilessia (a causa di alcune luci).

L’Italia è stata pioniera nella legislazione sull’accessibilità. Il 5 maggio 2003, alla Camera dei deputati, dagli onorevoli Campa e Palmieri è presentata una proposta di legge per l’accesso alle fonti d’informazione e agli strumenti tecnologici, come diritto di ogni persona; il 9 gennaio del 2004 la proposta diventa la legge n. 4, detta “Legge Stanca”. La legge è stata modificata e aggiornata dal Decreto legislativo n. 106 del 2018, con cui L’Italia ha recepito la Direttiva Ue 2102 del 2016 (Web Accessibility Directive, abbreviato WAD) per migliorare l’accessibilità di siti web e app nel settore pubblico di ogni Stato membro.

Dal 28 giugno 2025 avverrà un salto importante: in Italia entrerà in vigore la direttiva Ur 2019/882 sui requisiti di accessibilità dei prodotti e dei servizi dei paesi membri, sia pubblici sia privati. Tutti i siti dovranno essere accessibili: home banking, servizi pubblici, e-commerce, documenti digitali (contratti, fatture, referti medici, moduli compilabili, manuali, estratti-conti bancari). Saranno sempre più rari i casi di una persona non vedente che non riesca a prenotarsi un biglietto per un concerto, o un aereo, o che non riesca a trovare un documento indispensabile per la sua vita di cittadino. In caso d’irregolarità sono previste sanzioni: sanzione amministrativa, ritiro del prodotto dal mercato, oscuramento del sito o dell’app.

Gli esperti negano che i siti accessibili siano necessariamente più brutti e più costosi. Al contrario, hanno risvolti positivi, anche da un punto di vista commerciale, poiché sono in grado di raggiungere un pubblico più ampio, su ogni device, senza barriere, fattore che li rende più indicizzabili dai motori di ricerca.

In questo senso la nozione di accessibilità non riguarda soltanto la disabilità. Nel mondo: l’ 1% ha bisogno di una sedia a rotelle (circa 70 milioni), il 2,6% ha una disabilità intellettiva, 6% è affetto da sordità o perdita dell’udito, 17% da cecità o disabilità visive (cioè circa 1 miliardo di persone), a cui si aggiungono le disabilità transitorie (un arto rotto, interventi chirurgici, incidenti vari, malattia, gravidanza) o le difficoltà dovute all’invecchiamento. In generale nelle statistiche s’intendono disabilità fisica (non vedenti, ipovedenti, audiolesi, difficoltà cognitive, difficoltà nell’uso delle mani), ma fra i beneficiari dell’accessibilità si aggiunge anche chi non ha familiarità con la lingua, in situazione di “handicap culturale”, oppure chi usa una tecnologia di navigazione non usuale o con capacità ridotte.

Soddisfa insieme chi ha una forte disabilità fisica e chi non conosce la differenza fra un sito web e una mail. L’accessibilità è quindi un concetto ampio, non solo per la disabilità fisica o intellettiva come comunemente s’intenderebbe.

Essere accessibili significa essere inclusivi: fornendo accesso e possibilità di comprensione e utilizzo a ogni persona; autosufficienza, partecipazione e collaborazione fra le persone. Perché se riusciamo a trovare più facilmente un documento, o se riusciamo a capire cosa stiamo facendo, senza il timore che qualcuno se ne stia approfittando, o che la confusione sia voluta per infrangere qualche nostro diritto, ecco, l’intera comunità vive meglio e ne beneficia la consapevolezza di ogni cittadino.

Quest’articolo è tratto dalle presentazioni che Alessandra Savio (di AccessiWay) e Paolo Berro (che era presente il 5 maggio 2003 alla presentazione della proposta di legge) hanno esposto al Digital Ethics Forum, due giorni di conferenze e dibattiti, il 22 novembre presso il CSI Piemonte a Torino e il 23 novembre a Palazzo Bomben a Treviso. Il Forum, alla quinta edizione, è organizzato da Sloweb, associazione che promuove l’uso responsabile degli strumenti informatici per un web più sicuro, libero, equo ed etico. Per chi interessato ai temi, ora le conferenze sono ascoltabili sul canale youtube di Sloweb.

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