Una guerra metropolitana si è consumata a Milano 25 anni fa, nel gennaio del 1999. Novi omicidi nei primi nove giorni dell’anno. Tra questi, quello che i giornali titolarono come “Il delitto dell’edicola”, ad oggi ancora irrisolto, in cui fu trucidato Salvatore Corigliano, edicolante all’epoca 27enne, che gestiva il suo chiosco nel quartiere San Siro, in Piazza Esquilino, all’epoca teatro di scene di degrado urbano non da poco, tra spaccio e prostituzione.
Il delitto
4 gennaio, sono le sei e trenta del mattino. Le edicole, nel quarto giorno dell’anno che vede un nuovo millennio alle porte, sono ancora l’unica fonte di notizie: Internet c’è già ma occupa un posto ancora marginale nella quotidianità. Salvatore è al lavoro già da un’oretta, parla al telefono con un’amica mentre quest’ultima sente tre urla, tre no consecutivi rivolti all’uomo che nell’alba livida meneghina procede con l’esecuzione a bruciapelo di Corigliano, con una Calibro 38 Special. Tre urla quanti sono i colpi: al braccio, al torace e alla testa. Qualche minuto dopo le sei e trenta arriva un altro cliente, non vedendo nessuno nel chiosco chiama l’edicolante ma poi lo trova a terra in un mare di sangue, con ancora la cornetta stretta tra le mani. Non si tratta di una rapina: il fondo cassa non viene neanche toccato ed è scartata anche l’ipotesi dello scambio di persona perché chi ha sparato a Salvatore lo ha ammazzato guardandolo in faccia, sapendo chi era, dopo averci parlato, secondo la testimonianza della sua amica al telefono. Salvatore non muore sul colpo ma resterà due giorni sospeso nel limbo tra la vita e la morte, al San Carlo, prima di gettare la spugna. La famiglia dona i suoi organi.
La vittima
Un bravo ragazzo, adorato da tutti, tanti amici intorno e nessuno che possa volergli del male. Salvatore è anche volontario al Pio Albergo Trivulzio e per la parrocchia San Giovanni Bosco, frequenta un corso di teatro e ha dato metà degli esami a Ingegneria Meccanica prima di avventurarsi nel commercio rilevando il chiosco a pochi passi da casa. Nel suo quartiere si mormora che sia talmente impavido da essersi interessato a una ragazza albanese che batte nella zona di piazza Esquilino, e che vorrebbe liberarla dalla schiavitù della prostituzione. Si dice anche che i suoi “protettori” abbiano chiesto 50 milioni di lire in cambio, per toglierla dalla strada. Anche questa pista viene battuta ma non porta a nulla di fatto. Salvo è fidanzato con Isabella, ma piace tanto alle donne tra cui ad una da cui soltanto nel suo ultimo mese di vita ha ricevuto centinaia di telefonate ed è la stessa con cui è al telefono quella stessa mattina, mentre cade sotto i colpi di pistola. Il convivente di questa sua amica è stato un tossicodipendente e viene indicato come un uomo geloso e per questo all’inizio gli inquirenti si concentrano sulla coppia piuttosto che sul racket della prostituzione. L’uomo viene ritenuto estraneo ai fatti e cade ogni accusa nei suoi confronti dopo che gli esiti dello Stubb scagionano lui e la sua ragazza, quella dell’ultima telefonata: sono innocenti.
La lettera
Il 13 gennaio una lettera anonima di ben quattro pagine scritte in stampatello, datata 9 gennaio, viene recapitata a don Francesco, il parroco di San Giovanni Bosco, e alla cronista del Giorno Stefania Panza. Il mittente scrive di avere visto l’assassino che descrive come un uomo bassotto sui 45 anni, con addosso un giaccone azzurro. Il Giorno gli mette a disposizione una linea telefonica perché si faccia vivo. Tra le tante telefonate arrivate, in una datata 20 gennaio un uomo dimostra di conoscere dei dettagli della lettera mai divulgati. Forse, parte del mistero del delitto è davvero celato tra le righe di quella lettera.
La riapertura delle indagini
Pochi mesi fa, la Procura di Milano ha deciso di riaprire le indagini dopo che gli avvocati Valeria Logrillo e Davide Tupputi hanno presentato istanza. La sorella Amelia, all’epoca 25enne e che oggi fa l’assistente sociale nell’ospedale in cui è spirato Salvo, non ha mai smesso di chiedere giustizia per questo giovane edicolante “per mettere un punto, chiudere un cerchio. Ma anche se poco cambierebbe. Salvatore non c’è più, è un dolore che non si cancella. Chi ha ucciso Salvatore – ha dichiarato in una recente intervista a un quotidiano – probabilmente non aveva alcun legame con lui, con la sua vita. Ci sono due piste, quella del gesto di un pregiudicato di quartiere, e la vendetta del racket della prostituzione. Storie che non c’entrano nulla con la sua vita, ragazzo impegnato nel volontariato, nella parrocchia. Sappiamo che Salvatore è stato ucciso per qualcosa di esterno alla sua vita, alla sua famiglia, alle sue relazioni”.
La difesa punta sul lavoro della criminologa Antonella Delfino Pesce, anche lei convinta delle due piste possibili. Una ha ripreso una telefonata anonima, giunta alle ore 10.15 del 10 gennaio 1999, durante la quale una voce maschile fece il nome del presunto assassino. Il nome era quello di “Antonio Canito, quello di via Scanini, di Baggio (quartiere all’epoca degradato, nda)”: così riporta il magazine Cityrumors Milano. “Da una parte c’è la telefonata di un delinquente all’epoca dei fatti ragazzino – spiega la criminologa a FQMagazine –, che però aveva già ucciso e dall’altra c’è la telefonata alla giornalista Raffaella Raffai, al centralino della trasmissione “Telefono Giallo”, con particolari utili. Questa persona venne rintracciata, era estranea ai fatti ma fece il nome di un uomo albanese, indicato come il presunto sicario di Salvatore, che però non sono riusciti a rintracciare, costui si faceva chiamare “Ardjan”. Una pista che fu scartata all’epoca in cui le indagini si concentrarono sulla coppia poi scagionata”. Non è da ignorare il fatto che in quegli anni le edicole erano luogo di spaccio perché la droga girava anche nascosta tra le mazzette di giornali. Il grande traffico veniva smistato così. In quei mesi Salvo aveva messo in vendita la sua edicola, secondo gli inquirenti per sottrarla alle richieste di acquisirla da parte delle organizzazioni criminali.