Il colpo di spugna dell’Associazione nazionale magistrati sullo scandalo Palamara inizia a produrre effetti pratici. Come prevedibile, la delibera del sindacato delle toghe che ha sancito l’inutilizzabilità delle chat dell’ex capo-corrente (sulla base della sentenza della Corte costituzionale sul caso Renzi) ha innescato un assalto alla diligenza: i suoi interlocutori già condannati in sede disciplinare, infatti, ora possono chiedere l’annullamento retroattivo delle sanzioni. La prima a farlo è stata Silvia Badas, 57 anni, giudice della Corte d’Appello di Cagliari ed esponente di Unicost, la corrente “moderata” di cui Luca Palamara è stato per anni il dominus. Il 4 marzo scorso l’Anm le ha inflitto la censura per i numerosi messaggi in cui raccomandava all’ex pm radiato – allora potente membro del Consiglio superiore della magistratura – i nomi dei candidati “amici” per le poltrone giudiziarie più importanti della Sardegna: “È un fedelissimo di Unicost“, “È uno super fidato, uno dei pochissimi di fede Unicost da sempre“, scriveva, ad esempio, a proposito di un candidato al posto di procuratore generale di Cagliari.
Quelle conversazioni, però, da qualche settimana sono inutilizzabili per il giudizio disciplinare dell’Anm. Lo scorso 25 novembre infatti il Comitato direttivo centrale (il “parlamentino” del sindacato delle toghe) ha approvato a maggioranza una delibera in cui ha sposato il parere reso qualche giorno prima del Collegio dei probiviri, l’organo titolare dell’azione disciplinare: le chat – è la tesi – sono state sequestrate in modo illegittimo dalla Procura di Perugia, perché i pm le hanno acquisite in autonomia dallo smartphone di Palamara, mentre sarebbe servita l’autorizzazione del gip. Pertanto, essendo una “prova vietata”, i messaggini clientelari inviati all’ex pm dalle toghe di tutta Italia – chiedendo favori o (auto)sponsorizzando candidature – non possono fondare accuse disciplinari, nemmeno se pubblicati in plurime fonti aperte (in primis i due libri pubblicati dallo stesso Palamara con Alessandro Sallusti). Un dietrofront dovuto soprattutto alla sentenza della Consulta sul caso Open, che – dando ragione a Matteo Renzi nel conflitto di attribuzione sollevato dal Senato contro i pm di Firenze – ha incluso i messaggi Whatsapp nel concetto di “corrispondenza” tutelata dall’articolo 15 della Costituzione.
Per questo ora sono in bilico anche tutte le sanzioni disciplinari già emesse: qualsiasi toga condannata per le chat con Palamara, infatti, è nella posizione di chiedere all’Anm di cancellare l’onta. E il caso della giudice Badas sarà un precedente fondamentale: nella seduta del 20 e 21 gennaio prossimi, il Comitato direttivo dovrà decidere se revocare la sanzione in autotutela come chiesto dalla magistrata sarda (che in caso contrario minaccia di portare l’associazione in tribunale): se arrivasse un verdetto in suo favore, lo stesso principio dovrebbe essere applicato (su richiesta) per tutti gli altri sanzionati, decine di magistrati tra cui compaiono vari nomi di peso (ad esempio l’ex consigliere Csm Valerio Fracassi o l’ex segretario dell’Anm Giuseppe Cascini). E a quel punto è quasi certo che le istanze di questo tipo si moltiplicherebbero. A lanciare l’allarme con un preoccupato messaggio in mailing list è Ida Moretti, giudice di Benevento e componente del Comitato direttivo in quota Articolo 101, il gruppo “anti-correnti: “Avevamo tempestivamente denunciato l’orrore etico a cui avrebbe portato quell’errore giuridico”, scrive riferendosi alla delibera che ha vidimato il colpo di spugna. “Ora che inizia questa deriva come possiamo porvi rimedio? Si attendono suggerimenti”.