È curioso il fatto che la televisione – di cui in questi giorni si celebrano i 70 anni dalla prima trasmissione in Italia – fosse stata presentata come un mezzo di comunicazione aggregatore e pedagogico, in un paese dove erano ancora molti gli analfabeti, ma alla fine si è rivelata essere il primo e più potente strumento di isolamento degli individui e degradazione cognitiva dell’opinione pubblica.
Curioso ma non sorprendente, se per esempio consideriamo che il meccanismo era stato spiegato con chiarezza dal politologo Giovanni Sartori nel 1997 (Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza). Secondo costui – che peraltro si rifaceva a molte intuizioni di Pier Paolo Pasolini – la televisione andava operando una “mutazione antropologica” che trasformava l’essere umano da homo sapiens in homo videns. L’uomo che guarda è quello che ha spento i filtri cognitivi con cui elaborare le immagini e mantenere vivo il pensiero critico e autonomo su ciò a cui sta assistendo. Ci dicono questo, in fondo, gli studi recenti che parlano di un analfabetismo funzionale nel nostro paese vicino al 40 per cento: cioè quasi un individuo su due sa leggere ma non capisce il contenuto di quanto letto, riesce a vedere le lettere o le immagini ma non ne coglie il senso, la visione d’insieme, il messaggio sotteso o la critica che ne andrebbe fatta.
Del resto la Rete, con la sua opulenza informativa che di fatto genera indigenza conoscitiva (l’epoca in cui siamo informati su tutto ma non conosciamo quasi nulla), rappresenta un’evoluzione più potente e pervasiva rispetto al mezzo televisivo: ci fa guardare talmente tanti alberi da impedirci di vedere la foresta, per riprendere le parole di quel filosofo profetico che è stato Günther Anders. Praticamente siamo di fronte al sogno realizzato di qualunque sistema di potere nella Storia: disinnescare e controllare l’opinione pubblica senza il bisogno di ricorrere alla censura o alla forza (come nella galassia descritta da Orwell in 1984), ma inondandola di così tante informazioni futili e distraenti da trasformarla in una massa di individui uniformati, passivi, egoisti e attenti ai soli piaceri infantili (come descritto nel meno famoso Mondo nuovo di Huxley).
Tutto ciò non è reso possibile soltanto da quelle ancelle della cultura visiva che sono la Tv e la Rete, perché va compreso che a innervarle e dirigerne i contenuti è il capitalismo post-moderno, quello che alla degradazione dall’essere all’avere operata dal capitalismo moderno – per riprendere le analisi di Fromm e Debord – ha aggiunto un ulteriore passaggio epocale: quello dall’avere all’apparire. Tutto ciò che è appare ma, soprattutto, soltanto ciò che appare è. Se non appari non sei, se non vieni illuminato dalla grazia divina del grande pubblico di telespettatori o follower il tuo valore è pari a zero e questo malgrado le capacità o le competenze di cui disponi.
Il problema per la democrazia è evidente, ricordava già Sartori nel libro citato, perché l’informazione e l’educazione politica in mano a Tv e Rete rappresentano per il popolo una “malnutrizione informativa” in grado di renderlo totalmente manipolabile, fino ad avverare la previsione di Neil Postman (Divertirsi da morire, 1985, Luiss University Press 2021) e realizzare una “tecnocrazia divenuta totalitaria, che plasma tutto e tutti a propria immagine e somiglianza”. Come altro spiegare, del resto, un sistema in cui chi sta al governo (adesso il centrodestra) continua a godere di ampi consensi pur smentendo ogni promessa elettorale? Il prezzo del petrolio che scende ma il costo della benzina no; i tagli alla spesa sanitaria a fronte dei 10 milioni di euro stanziati per la serie A di calcio; gli sbarchi di extracomunitari raddoppiati, come il costo per mantenerli e gestirli a causa di uno sciagurato accordo con l’Albania; la difesa di fatto di ministri, sottosegretari e parlamentari del centrodestra coinvolti in truffe, raggiri, collusioni con la malavita, episodi imbarazzanti di ignoranza, incompetenza e quant’altro. La lista sarebbe ancora più lunga, ma il concetto è chiaro.
Dall’altra parte l’opposizione, che riesce a scoprirsi unita soltanto di fronte ai vergognosi saluti fascisti in una piazza di Roma in occasione della commemorazione di Acca Larentia (una delle pagine più tragiche degli anni di piombo nella Capitale), ma che per il resto marcia divisa e generalmente imbelle di fronte al vero fascismo che incombe sulla nostra epoca: quello del potere finanziario che ha scalzato la politica e procede incontrastato verso la realizzazione dei propri interessi, a spese del popolo. Quello stesso popolo che dopo settant’anni di televisione e quasi trenta di Internet risulta disperso, perlopiù nella realtà virtuale a ritoccare le imperfezioni delle foto profilo con cui farsi vedere sui social.