L’ex giudice anti-Netanyahu rappresenterà Israele nell’udienza alla Corte Penale dell’Aja. Aharon Barak, ex membro e presidente della Corte suprema, è infatti stato scelto da Israele e nominato nel collegio di 15 magistrati della Corte che si occuperà delle accuse di genocidio a Gaza presentate contro Israele dal Sudafrica il 29 dicembre 2023. Entrambi i Paesi, l’accusatore e l’accusato, hanno il diritto di scegliere uno dei giudici. Sopravvissuto all’Olocausto e oggi in pensione, Barak non è mai stato vicino al premier israeliano Benjamin Netanyahu in passato. Nelle udienze, che saranno pubbliche e si terranno giovedì 11 e venerdì 12 gennaio, a difendere Israele sarà inoltre il legale Malcolm Shaw, esperto di Diritto internazionale. Barak si aggiungerà così ai 14 giudici che esamineranno la documentazione presentata dal Sudafrica che si basa anche su dichiarazioni rilasciate dopo l’inizio della guerra da dirigenti politici e da personalità pubbliche di Israele. Il collegio deciderà quindi se emettere un’ordinanza provvisoria per chiedere a Israele di fermare la guerra.
L’87enne, che ha lasciato la Corte Suprema nel 2005, è considerato tuttora uno dei giuristi più importanti di Israele. Nell’ultimo anno è stato duramente attaccato dalla destra israeliana per la sua strenua opposizione alla riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu. Ma negli ultimi giorni, quando il suo nome è emerso come possibile rappresentante di Israele all’Aja, il premier – secondo i media locali – ha sostenuto l’idea senza esitazioni. A indicarlo per il compito all’Aja è stata, sempre secondo i media, l’attuale Avvocato generale dello Stato Gali Baharav Miara, altra strenua oppositrice di Netanyahu. Contro la nomina alcuni nomi della destra, ma Netanyahu non sembra aver avuto scelta e ha così accettato senza avvisare il ministro della Giustizia. Ora toccherà a Barak far valere le ragioni di Israele.
Lo scorso luglio da parte di Barak era arrivato un avvertimento in extremis contro l’approvazione alla Knesset della prima fase della riforma giudiziaria (la cosiddetta limitazione della clausola di ragionevolezza dei giudici di fronte all’esecutivo) che lo portò al centro degli attacchi della destra: “Se sarà approvata – aveva avvertito – essa colpirà duramente i valori fondamentali di Israele come Stato ebraico e democratico, minaccerà di destabilizzare lo Stato di diritto, la regolare gestione dell’amministrazione pubblica, l’igiene dei provvedimenti del potere e i diritti fondamentali di ogni persona in Israele”. Precedentemente Barak si era già più volte espresso sul tema della tenuta democratica del Paese e dello Stato di diritto in Israele, ma Netanyahu aveva bollato i tentativi di ostacolare la riforma da parte delle opposizioni come un tentativo di golpe, frutto dell’incapacità di una parte del Paese di accettare l’esito delle urne e i conseguenti spazi di manovra dell’esecutivo.
Intanto, stando a quanto riportato da Haaretz, 70 dei 120 deputati della Knesset hanno sottoscritto la richiesta di espulsione dal Parlamento del deputato Ofer Kassif, accusato di aver sostenuto pubblicamente la causa del Sudafrica. L’iter parlamentare per l’espulsione di un deputato è tuttavia complesso e richiede il sostegno di 90 deputati. Il partito Hadash ha replicato che questa iniziativa fa temere che “si stia realizzando un putsch di regime, assieme con la eliminazione dell’ambiente della democrazia”. “Mentre attorno al tavolo di governo siedono figure che invocano il trasferimento (di palestinesi, ndr) e la distruzione di Gaza – afferma Hadash – potrebbe essere rimosso dalla Knesset il deputato Kassif che lotta invece per la pace e ciò sulla base dell’accusa infondata di ‘sostegno alla lotta armata’”.
A due giorni dall’annunciata udienza, fonti aeroportuali rivelano inoltre il rientro di una delegazione diplomatica egiziana dal Sudafrica. La delegazione era guidata dal vicedirettore del dipartimento per gli Affari palestinesi presso il ministero degli Esteri egiziano, l’ambasciatore Iman Al-Banhawi, ed è tornata al Cairo il 9 gennaio da Johannesburg, ma non ha rilasciato alcuna dichiarazione ai media sul caso.