Le malattie del comportamento alimentare aumentano, ma le cure rischiano di diminuire dopo che l’ultima legge di bilancio non ha rinnovato il Fondo per il contrasto dei disturbi alimentari. Istituito nel 2021, stanziava 25 milioni di euro per il biennio 2022-2023 da spendere entro il 31 ottobre del 2024. La somma aveva permesso di assumere 780 professionisti del settore, e di costruire il livello base dell’assistenza in tutta Italia, avviando programmi sia di prevenzione sia di cura, implementando i centri esistenti e mettendoli in piedi là dove non c’erano. Ora, questi interventi rischiano di ridursi o fermarsi per sempre, soprattutto dove è solo negli ultimi due anni che sono nate le prime strutture.

Nel settembre 2023, alcuni parlamentari hanno depositato alla Camera un disegno di legge a prima firma Martina Semenzato (gruppo Noi democratici) che propone un fondo annuale di 20 milioni di euro da investire in attività simili. Ma esperti e associazioni temono che, nella migliore delle ipotesi, ci sarà una finestra temporale in cui i servizi finanziati fino al 31 ottobre conosceranno uno stop. “Dopo l’approvazione della mozione – spiega Giuseppe Rauso, presidente di Consult@noi, associazione coinvolta nel tavolo promosso da Noi democratici – chiediamo si corregga la legge di bilancio per ripristinare i fondi per l’anno in corso, al fine di evitare finestre di scopertura dei servizi per i pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare, e l’istituzione di un fondo strutturale”. Per gli addetti ai lavori, come la dottoressa Laura Dalla Ragione dell’asl Umbria 1, tra gli esperti scelti dal Ministero per gestire il fondo attuale, queste misure sono necessarie, ma rimangono un tampone: “Servono risorse vincolanti per dare continuità al trattamento di queste patologie”. Lo ribadiscono a gran voce anche le associazioni, come spiega Aurora Caporossi fondatrice della onlus Animenta, parte del Movimento Lilla, per il contrasto e prevenzione delle malattie alimentari: “Perché per mancanza di trattamenti si muore”.

Il fenomeno – Sono definiti Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (Dna) quei fenomeni che rendono disfunzionale il comportamento alimentare, portano il paziente a preoccuparsi eccessivamente del proprio peso e ad avere una percezione deviata della propria immagine. Due le patologie più diffuse: anoressia nervosa e bulimia nervosa. Se non trattate, causano un crollo delle capacità di alcuni organi e possono compromettere gli apparati vitali. Si stima che in Italia almeno tre milioni di persone convivano con una malattia di questo tipo, e solo nel 2023 si sono registrati 1.680.456 nuovi casi. Il numero è cresciuto del 30% dopo la pandemia, quando in tutto il mondo c’è stato un incremento dei ricoveri pari al 48%. Il 2020 è stato decisivo per mettere a fuoco l’emergenza, anche perché ha visto un abbassamento dell’età di chi si ammala, che oggi inizia intorno agli 8-9 anni. Le donne sono nove volte più esposte degli uomini a queste patologie che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono la seconda causa di morte per le giovani tra i 12 e i 15 anni. A parità di sesso ed età, chi soffre di anoressia ha un rischio di mortalità fino a dieci volte più alto di una persona sana. In Italia, stando ai dati del Registro nominativo delle cause di morte (Rencam), nel 2023 circa 4mila persone sono decedute per problemi correlati a un disturbo alimentare.

Il fondo non rinnovato – La cifra messa a bilancio nel 2021 ha permesso di garantire livelli minimi di cura in ogni Regione o provincia autonoma, di investire nei sistemi di prevenzione e formazione, e di assumere personale ad hoc. I professionisti in Italia sono in totale 1491, di questi 780 assunti grazie al fondo. Tra le figure coinvolte nel percorso di cura ci sono educatori professionali, medici nutrizionisti, specialisti di Medicina interna e Pediatria, tecnici della riabilitazione psichiatrica, assistenti sociali, fisioterapisti e operatori della riabilitazione motoria. Oggi esistono 126 strutture per il trattamento dei disturbi alimentari. Di queste, 112 rientrano nel Servizio sanitario nazionale e 14 sono gestite dalla Sanità privata accreditata. Il divario territoriale nei livelli di assistenza però resta grande. Il Sud è il più penalizzato, con 40 strutture contro le 63 del Nord Italia e le 23 del Centro. Differenze che torneranno ad accentuarsi senza un investimento nazionale. “Auspichiamo un intervento correttivo della legge di bilancio – dice a ilfattoquotidiano.it la dottoressa Laura Dalla Ragione – con quei finanziamenti sono sorti ottimi ambulatori, che garantiscono diagnosi precoci. Intercettare la malattia all’inizio significa curarla prima del ricovero. Senza quel fondo, molti centri dovranno chiudere”.

Le associazioni – Il mancato rinnovo del fondo è stato accolto tra le proteste dalle associazioni. Lo spiega al fattoquotidiano.it Aurora Caporossi di Animenta: “Siamo preoccupati – spiega – crescerà il divario tra le regioni, che già oggi si muovono a macchia di leopardo e che hanno fatto fatica ad avviare programmi mirati”. L’effetto si vedrà soprattutto al Sud. “Regioni come la Calabria – aggiunge Rauso – che prima del fondo non avevano una rete per il trattamento dei disturbi alimentari e hanno implementato una rete ambulatoriale con i fondi stanziati, termineranno il servizio. La fine del rifinanziamento comporterà il mancato rinnovo dei professionisti contrattualizzati, sarà impossibile fronteggiare la richiesta di cura. È un peccato, quei centri hanno permesso a decine di famiglie di non dover emigrare per curare i figli, riducendo in modo significativo i costi ingenti delle cure”.

Il timore del mancato rinnovo dei 25 milioni di euro era nell’aria, e anche per questo gli addetti ai lavori si battono da anni affinché l’approccio sanitario sia strutturale. Dal 2017, i disturbi alimentari sono riconosciuti tra i Livelli essenziali di assistenza (Lea), ma solo con il fondo introdotto nel 2021 sono stati avviati interventi efficaci per il loro contrasto. “Chiediamo che venga riconosciuto un budget vincolante nei Lea – spiega Caporossi – solo così si potrà dare assistenza stabile in tutta Italia. Prevenire e curare un disturbo alimentare ha costi economici e sociali elevati. Senza un finanziamento, molte persone moriranno non per malattia ma per mancanza di trattamento”.

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