La violenza in Ecuador va in diretta televisiva. Non solo per l’assalto armato di un gruppo criminale a Canal Tc, ma per tutta la gestione mediatica con cui l’esplosione di crimini per le strade del paese si sta vivendo. Non era certo una novità che il governo di Daniel Noboa avrebbe dovuto fare i conti con le bande criminali, e molte e molti avevano avuto la paura, o quantomeno la predizione, che proprio nella gestione della violenza si sarebbe valutato il governo del giovane presidente. Noboa si gioca così la sua possibile rielezione e dopo la “clamorosa” fuga di uno dei principali leader criminalità del Paese ha annunciato 60 giorni di misure di ferro. Una sorta di “bomba ad orologeria” che non sorprende, ma preoccupa per dimensione e futuro del Paese. Dopo la dichiarazione di Noboa sono scattati saccheggi, assalti armati, sparatorie e altre forme di violenza urbana, a partire dalle carceri.
L’epicentro dello scontro è stata la capitale economica, Guayaquil, dove sono almeno 10 le persone morte nella sola giornata del 9 dicembre. Guayaquil è città portuale, centrale per il controllo del traffico di droga e in generale per la logistica dell’Ecaudor. La violenza soffia in tutto il Paese e la mano di ferro, in stile Nayib Bukele, presidente di El Salvador, pare la direzione che il governo ha intenzione di prendere tanto che l’Assemblea nazionale ha espresso il suo sostegno alle Forze armate e di polizia, in seguito alla dichiarazione di stato d’emergenza, giustificata a seguito dall’invasione di un gruppo armato in un canale televisivo e da attacchi simultanei in diverse città. Le aree sensibili e i penitenziari sono circondati dalle forze armate.
Dal Congresso arriva anche l’appoggio al governo per le azioni di sicurezza per ripristinare la pace e l’ordine nel territorio nazionale e così il sostegno allo stato di eccezione che prevede il coprifuoco dalle 23 alle 5, la restrizione del diritto di riunione e la militarizzazione delle strade e delle carceri. Noboa ha parlato apertamente di “conflitto armato interno” e dichiarato organizzazioni terroristiche almeno venti gruppi armati che da mesi insanguinano il Paese. Le carceri sarebbero nelle mani delle bande criminali: sono sette quelle che si scontrano per il controllo delle galere. E proprio dalle carceri è partita la spirale di violenza sotto il governo Lasso. L’Ecuador per anni è stato un Paese pacifico, scosso dalle tensioni sociali per la richiesta di diritti, contro le politiche estrattiviste e per la giustizia, non certo per le violenze per il controllo del territorio, delle rotte della vendita di droga e di altre speculazioni economiche.
“La partita non riguarda solo il controllo del potere politico, ma soprattutto quello economico e mediatico. Ecco perché qui si verificano grandi tensioni tra i diversi partiti e organizzazioni sociali”, spiega, a Eldiario.es, Jacques Ramírez, professore all’Università di Cuenca. “La dollarizzazione è uno dei fattori che rendono attraente per le bande criminali operare in Ecuador, perché rende più facile riciclare i dollari”, ha dichiarato a LaPoliticaOnline l’economista Juan Pablo Jaramillo, che ha anche aggiunto “la violenza è multicausale e ovviamente il traffico di droga è uno dei molteplici fattori che aumentano la violenza”.
L’Ecuador, ha detto ancora, “si trova tra i due maggiori produttori di cocaina al mondo. Dal 2015 al 2023 si è registrato un aumento dell’offerta e della domanda di cocaina in Europa. E dal 2019, le istituzioni statali in Ecuador si stanno indebolendo sistematicamente.” Il non detto resta però l’allargamento della povertà nel Paese, una delle situazioni che alimenta l’insicurezza sociale e apre le porte alla cooptazione di giovani da parte delle bande criminali, tanto che l’8 settembre scorso il relatore delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, Olivier De Schutter, aveva spiegato che “l’allarme per il recente aumento della criminalità e della violenza in Ecuador, compreso l’atroce omicidio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio, non dovrebbe distrarci dalle cause profonde di questa insicurezza”, ovvero le scarse opportunità di lavoro e il basso livello d’istruzione hanno reso facile per i giovani essere reclutati da bande criminali.
“Questo circolo vizioso – secondo De Schutter – può essere spezzato solo se il Paese investe di più nella sua popolazione”, sottolineando come occorrerebbe “investire nell’istruzione, nella sanità e nella protezione sociale”. La drammatica situazione che nelle ultime ore sta spaventando la popolazione sembrerebbe però tristemente prevedibile, così come l’azione violenta e repressiva del governo. Che Noboa avesse Bukele come modello era abbastanza chiaro. Allo stesso tempo l’accelerazione di politiche economiche anti-popolari e una scarsa azione di limitazione dei gruppi criminali nelle carceri e nelle scuole hanno portato la situazione al limite. Una situazione già vista in altri Paesi dell’America Latina dove il crimine organizzato è un player presente e violento che si interseca, molto spesso con ambiguità, se non connivenze bi-direzionali, con la politica e gli interessi economici.