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Via Poma, parla a FqMagazine il legale della famiglia Cesaroni: “Bisogna indagare sia su Vanacore che sull’avvocato Caracciolo di Sarno

Parla a FqMagazine Federica Mondani, avvocato della famiglia di Simonetta Cesaroni, ammazzata il 7 agosto del 1990 con 29 coltellate negli uffici dell’Associazione italiana per gli ostelli della gioventù

di Alessandra De Vita

“Bisogna indagare, nulla va lasciato al caso”, parla a FqMagazine Federica Mondani, avvocato della famiglia di Simonetta Cesaroni, ammazzata il 7 agosto del 1990 con 29 coltellate negli uffici dell’Associazione italiana per gli ostelli della gioventù. Dopo l’archiviazione da parte dei magistrati romani dell’informativa dei carabinieri che accusava del delitto Mario Vanacore, figlio del portiere Pietro anche lui all’epoca arrestato e poi prosciolto per l’omicidio della ragazza e suicidatosi pochi giorni prima di deporre nel processo contro il fidanzato di Simonetta, l’avvocato della famiglia sottolinea la necessità di non archiviare questa pista. Sulle motivazioni di questa indicazione, a dispetto degli esami, compreso quello delle tracce di sangue, che hanno scagionato i Vanacore, la Mondani ha dichiarato: “La questione è molto complicata, più di quanto sembri ma non posso aggiungere nulla”.

Le parole del legale fanno eco a quelle della sorella di Simonetta, affidate pochi giorni fa a La Stampa:L’inchiesta non deve essere archiviata. Allora non si parlava di femminicidio, ma si tratta di questo. Devono indagare ancora su Vanacore e Caracciolo. Io non smetterò mai di lottare. Io chiedo verità e giustizia da quasi 34 anni e ancora non l’ho ottenuta perché finora hanno voluto coprire l’assassino di mia sorella. Per questo spero che non vengano archiviate né l’inchiesta su Mario Vanacore né quella su Francesco Caracciolo Di Sarno. Io non smetterò mai di lottare”. Fu proprio lei, quella sera del 7 agosto, a trovare il corpo della sorella dilaniato da 29 coltellate, sul pavimento dell’appartamento di Via Poma dove andò a cercarla, non vedendo rientrare Simonetta ormai alle 23,30. All’epoca, era fidanzata con Antonello Barone, anche lui con lei quella tragica notte.

Nel 2010 Paola Cesaroni ha raccontato in tribunale il momento in cui scoprì il corpo di Simonetta: “Andammo nell’ufficio di via Maggi dove Simonetta lavorava, individuammo l’indirizzo dell’ufficio di Via Poma e andammo lì. Suonammo alla portineria ma nessuno rispose, fino a quando Luca, il figlio di Volponi (datore di lavoro di Simonetta) scavalcò il cancello e la moglie del portiere ci indicò dov’era l’ufficio e aprì la porta. Volponi, in fondo al corridoio della casa, si mise le mani tra i capelli e disse al figlio di tenermi. Arrivai davanti la porta, ma la stanza era semibuia e vidi solo una ragazza per terra. Poi con l’aiuto di un accendino, riuscii a trovare l’interruttore della luce e allora quello che vidi fu choccante. Non si vedeva che Simona aveva avuto 29 coltellate, notai però dei buchi all’altezza del torace”.

Perché Paola Cesaroni chiede ancora di indagare sul potente avvocato romano, Caracciolo di Sarno, all’epoca dei fatti presidente dell’Aiag e morto nel 2016? Poche settimane fa, un’altra donna della stessa età di Simonetta, ha denunciato di essere stata abusata circa 30 anni fa dall’avvocato all’epoca presidente dell’associazione Alberghi della Gioventù per cui lavorava come contabile Simonetta Cesaroni e la Procura di Roma ha aperto un fascicolo su queste dichiarazioni. Quella di Caracciolo di Sarno è sempre stata una figura ambigua. All’epoca, negò anche di conoscere Simonetta, malgrado alcune testimonianze affermarono il contrario. Interrogato due settimane dopo il delitto, Caracciolo Di Sarno disse di avere un alibi confermato dalla figlia, che accompagnò quel giorno all’aeroporto dalla sua casa di campagna di Tarano, nel Rietino ma il suo alibi fu smentito nel 2005 dalla sua portinaia che disse di averlo visto quel pomeriggio del 7 agosto a Roma, uscire dalla propria abitazione romana.

Sulla donna all’epoca ragazzina, ormai ultracinquantenne che confessato in Procura le molestie subite, ha aggiunto Paola Cesaroni, oggi 60enne: “Non aveva denunciato all’epoca dei fatti perché i suoi genitori lavoravano per Caracciolo e temeva che li licenziasse. Questa notizia ci ha riportato indietro di 34 anni, quando già dicevamo che quello di via Poma, di quelle palazzine, degli Ostelli, era un ambiente di dubbia moralità. È lì dentro che va cercato l’assassino, per questo il processo al fidanzato di mia sorella, Raniero Busco, prosciolto in via definitiva, ci aveva sempre lasciati perplessi”. Anche per l’avvocato Mondani “La storia degli abusi su una donna giovanissima all’epoca dei fatti, è una notizia grave e importante ed è la prova provata che la verità viene sempre fuori”.

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