Sull‘ex Ilva il governo è al lavoro per arrivare ad un accordo per un “divorzio consensuale” con ArcelorMittal ed evitare un lungo contenzioso legale. Lo hanno detto gli esponenti di governo al tavolo di confronto sull’ex Ilva a Palazzo Chigi. In particolare in queste ore sono al lavoro i legali dei due soci con l’intenzione di arrivare in tempi rapidi a soluzione consensuale ed evitare lungo contenzioso. Entro mercoledì si saprà se ci sono condizioni per l’intesa.
Il “primo obiettivo” è “la continuità produttiva dell’azienda”, si legge in una nota di Palazzo Chigi. I sindacati sono stati nuovamente convocati giovedì prossimo 18 gennaio “per illustrare l’esito delle trattative di queste ore”. “È stata infine data massima disponibilità, una volta chiuso il confronto con ArcelorMittal – conclude la nota del governo – a far partire presso il ministero del Lavoro un tavolo per approfondire tutti gli aspetti legati all’occupazione e alla sicurezza sul lavoro”. Presenti al tavolo i ministri Urso, Calderone, Fitto e Giorgetti accompagnati dai sottosegretari Mantovano, Guerzoni e Caputi. E proprio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha assicurato che “Mittal è fuori“. Per il governo nel futuro dell’ex Ilva non ci sarà il colosso franco-indiano. Le condizioni poste da ArcelorMittal per rimanere in Acciaierie d’Italia sono inaccettabili e impercorribili, per traghettare Taranto fuori dalla drammatica crisi produttiva in cui versa e garantire l’occupazione di un bacino che conta 20mila lavoratori tra diretti e indiretti, serve un intervento drastico.
“Finalmente ci siamo. Il governo ha deciso di non tornare più indietro, proseguendo sulla strada per assumere la gestione dell’azienda”, ha commentato al termine dell’incontro il segretario generale della Fiom, Michele De Palma. “Un’ora di confronto solo per confermare l’intenzione di garantire la continuità produttiva, ma nulla è stato detto sulla strada che si intende intraprendere e nulla sul percorso industriale“, lamentano Sasha Colautti e Francesco Rizzo dell’esecutivo nazionale confederale di Usb: “Abbiamo chiesto al governo di aprire immediatamente questa discussione, in particolare per Acciaierie D’Italia serve avere chiarezza sugli obiettivi industriali e produttivi, su come si intende tutelare l’occupazione, la salute di lavoratori cittadini e l’ambiente”. Per Roberto Benaglia, Segretario Generale Fim “è stato un incontro importante”. I nodi, ha spiegato Benaglia, saranno sciolti in pochi giorni, “i tecnici lavoreranno fino a mercoledì e poi il governo tirerà le conclusioni e deciderà”. Giovedì 18 gennaio i sindacati saranno convocati per un incontro in cui l’esecutivo “ci dirà come con quali strumenti operativi potremmo andare avanti”, ha aggiunto Benaglia. “Noi abbiamo chiesto che il governo garantisca il futuro di questi impianti e dei lavoratori dell’azienda. Su questi temi ci sarà un tavolo specifico al ministero del lavoro con Calderone”, ha concluso. “Questa sera abbiamo acquisito un risultato: ArcelorMittal non ci sarà più e indietro non si torna. Adesso c’è una fase per capire come avverrà questo distacco. La prossima settimana lo sapremo”, ha affermato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, al termine del tavolo tra sindacati e governo sull’ex Ilva.
In mattinata è stato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, a tenere il punto nel corso di una informativa al Senato, accusando il socio privato in Acciaierie di non aver mantenuto nessuno degli impegni presi, né sul fronte occupazionale né su quello del rilancio industriale. “Inaccettabile” per il governo la discesa in minoranza di Mittal senza, però, la disponibilità a investire in proporzione alla propria quota, scaricando l’intero onere finanziario sullo Stato e reclamando al contempo “il privilegio” – aveva spiegato in mattinata Urso – di condividere in ogni caso la governance, così da condizionare ogni ulteriore decisione. Sullo sfondo resta lo spettro dell’amministrazione straordinaria. Quando e se, però, resta ancora da vedere. Per i sindacati è l’opzione più cruenta e va evitata. Metterebbe in ginocchio le aziende creditrici dell’indotto e rafforzerebbe lo spauracchio della cassa integrazione, già ampiamente attivata. Le priorità che Fim, Fiom e Uilm portano sul tavolo dell’esecutivo sono la salvaguardia dei livelli occupazionali, la continuità dell’attività lavorativa e degli impianti.