Spostare le attenzioni sull’altro ramo della famiglia di Cosa nostra di Catania e ridare così slancio alle indagini sul duplice omicidio Rovetta-Vecchio. Questa la decisione presa dalla gip Marina Rizza nell’inchiesta riguardante le uccisioni del manager e del dirigente dell’ex Acciaieria Megara, morti il 30 ottobre 1990 dopo essere stati assaltati da un commando armato. Il pronunciamento è arrivato pochi giorni prima di Natale. Sul tavolo della giudice per le indagini preliminari c’era la richiesta di archiviazione – la terza nell’arco di questi tre decenni – presentata dalla procura, a fronte della mancanza di elementi per portare a processo le otto persone iscritte nel registro degli indagati. Al numero uno dell’elenco, il capomafia Nitto Santapaola.

Che dietro ai due omicidi ci sia la mano di Cosa nostra sembra essere fuori di dubbio. A dirlo sono le modalità con cui l’agguato è stato compiuto, ma anche la considerazione che, all’epoca dei fatti, la Megara – la più grande acciaieria della Sicilia – era nella morsa della criminalità organizzata e non soltanto catanese. A fare riferimento allo stabilimento fu anche Bernardo Provenzano. Il boss corleonese ne parlò in alcuni pizzini destinati a Giovanni Brusca e a Luigi Ilardo, l’esponente della mafia nissena ucciso nel ’96 poco prima di diventare ufficialmente un collaboratore di giustizia. Dall’Acciaieria Megara la mafia ricavava centinaia di milioni di euro di lire ogni anno. Un pizzo che gli industriali venuti dal Nord avrebbero accettato di pagare in un’era in cui opporsi al racket poteva significare morire.

E dunque perché uccidere Rovetta e Vecchio? Le piste percorse sono state diverse: a parlare del duplice delitto sono stati diversi collaboratori di giustizia, ognuno dei quali ha offerto spunti interessanti ma mai sufficienti per riuscire a chiudere il cerchio. C’è chi ha inquadrato la decisione di fare fuori i due all’interno di un non meglio precisato piano di Cosa nostra, interessata a entrare in maniera stabile dentro lo stabilimento, e chi invece ha ipotizzato che l’agguato sia scattato come risposta a una reazione scomposta di Vecchio, pressato in prima persona da alcuni criminali. E non manca, infine, anche il riferimento alla Falange Armata, che rivendicò la paternità dell’attentato pochi giorni dopo i fatti.

Ipotesi che finora però non hanno portato a nulla e che per la gip sono tali da rendere necessaria l’archiviazione, oltre che di Nitto Santapaola, anche di alcuni dei componenti dei gruppi di fuoco all’epoca più attivi a Catania: da Filippo Branciforte a Umberto Di Fazio, da Francesco Di Grazia a Natale Di Raimondo.

Per la giudice, però, ci sono ancora margini per andare avanti ed è per questo che ha ordinato l’iscrizione nel registro degli indagati di Aldo Ercolano e Orazio Privitera. Il primo è nipote di Santapaola nonché boss di primissimo piano da anni relegato al 41 bis, il secondo invece è un boss degli Sciuto-Tigna, clan che potrebbe avere avuto un ruolo nella vicenda. La gip, inoltre, ha disposto la convocazione del fratello di Rovetta per approfondire fatti concernenti “i lavori appaltati dalla Megara ai fratelli Rapisarda”. Si tratta di Carmelo e Francesco Rapisarda, imprenditori attivi nell’area dell’indotto dell’acciaieria. Il primo è ormai deceduto, mentre il secondo a fine 2023 è stato coinvolto in un’inchiesta antimafia in Calabria perché accusato di concorso esterno alla ‘ndrangheta. Rapisarda, nel recente passato, è stato condannato in un processo, non ancora giunto a sentenza definitiva, in cui si intrecciano mafia e massoneria. L’uomo, infatti, è ritenuto un massone di primo livello sulla scena catanese.

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