È l’attuale presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il mossiere delle prossime elezioni europee. La sua candidatura ufficiale per un seggio nella Plenaria di Strasburgo, annunciata il 6 gennaio, dà di fatto il via al gioco di contrattazioni, lotte e accordi sulle prossime cariche a Bruxelles. Una mossa, la sua, che rompe già alcuni equilibri e cambia i piani di chi, come i liberali di Renew Europe, di cui fa parte anche il suo partito, e i Socialisti, puntava a confermare una “maggioranza Ursula” con qualche concessione ai Conservatori anche per il prossimo mandato europeo. La decisione del politico belga suggerisce l’intenzione di puntare alla Presidenza del Parlamento, ma questo potrebbe favorire una soluzione alternativa al già collaudato accordo tra Socialisti, Popolari e Liberali: un’intesa dichiaratamente orientata a destra, con i Conservatori, una parte di Identità e Democrazia e i rappresentanti del partito di Viktor Orbán che verrebbero inclusi nelle trattative per eleggere le nuove cariche istituzionali europee.
Si tratta ancora di una fase di studio, dato che le elezioni si terranno il prossimo giugno e che i sondaggi attuali potrebbero subire notevoli cambiamenti. Ma da quanto Ilfattoquotidiano.it apprende da fonti brussellesi, la mossa di Michel ha già causato i primi sussulti nella bolla europea. Tanto che, adesso, si ipotizzano già due scenari agli antipodi. Il primo, quello che vorrebbe la conferma della “maggioranza Ursula” e sul quale molte anime politiche stanno lavorando da tempo, prevede un accordo tra Socialisti, Partito Popolare e Renew. Questi tre gruppi dovrebbero garantire la maggioranza necessaria in Parlamento a nominare i tre presidenti, i commissari e tutte le altre cariche. A differenza del 2019, però, non sarebbe possibile escludere dal tavolo i conservatori di Ecr. Non tanto per la necessità di seggi, ma per una eventuale loro opposizione in Consiglio europeo. Il partito trainato da Fratelli d’Italia, nonostante abbia appena perso la guida della Polonia, esprime comunque un capo di governo, proprio con l’Italia, e partecipa alla maggioranza di governo, o la appoggia esternamente, in altri tre Paesi: Svezia, Repubblica Ceca e Finlandia. Un isolamento dei Conservatori potrebbe così causare un’impasse tra i leader dei 27 Paesi membri, oltre a tensioni interne ai singoli Stati menzionati.
In questo scenario il Partito Popolare esprimerebbe, come nel mandato che volge al termine, il presidente della Commissione. Il nome naturale sarebbe, ancora, quello di Ursula von der Leyen, ma la capa di Palazzo Berlaymont, negli ultimi mesi, ha condotto quella che in molti a Bruxelles considerano una campagna elettorale su posizioni filo-Usa che avrebbe un altro obiettivo: succedere a Jens Stoltenberg come segretario generale della Nato. Una carica per la quale otterrebbe anche l’appoggio del capogruppo del Ppe, Manfred Weber, che già nel 2019 puntava a Palazzo Berlaymont in quanto Spitzenkandidat (candidato di punta) del Ppe, vedendosi poi superare in fase di contrattazione proprio dall’ex ministra tedesca. Con von der Leyen fuori dai giochi, Weber proverebbe nell’impresa che non gli è riuscita cinque anni fa, col rischio di un nuovo fallimento sia per l’opposizione interna alla stessa Cdu-Csu sia perché è il più strenuo sostenitore della necessità di formare un’alleanza a destra che escluda i Socialisti. Un altro nome, più moderato, che potrebbe tornare di moda, dicono le fonti, è quello del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che non disdegnerebbe un mandato di cinque anni nel ruolo più importante delle istituzioni europee, favorito dalla reputazione positiva che si è costruito nel corso della sua esperienza da presidente della Plenaria.
Ma la candidatura di Michel complica le nomine per gli altri due ruoli di spicco delle istituzioni europee: la guida del Parlamento e del Consiglio. Nel caso in cui il politico belga riuscisse a farsi eleggere presidente dell’assemblea, ai Socialisti rimarrebbe la Presidenza del Consiglio Ue. Il problema è che, con l’ex premier portoghese Antonio Costa dimissionario per le accuse di corruzione che hanno coinvolto il suo governo, il campo S&D non ha ex capi di Stato o di governo (questa la consuetudine per la carica di presidente) da esprimere. Un nome papabile potrebbe essere quello dell’attuale commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, ma è tutta da capire la disponibilità dell’esponente Pd.
Un incastro così complicato da risolvere potrebbe così aprire le porte all’ipotesi caldeggiata da Manfred Weber, ma anche da Tajani, di un’alleanza tra Ppe, Renew, Ecr, il partito di Viktor Orbán corteggiato proprio dai Conservatori e anche la parte meno radicale di Identità e Democrazia, come la Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National di Marine Le Pen, con l’esclusione quindi dei Socialisti. In questo caso, le possibilità di Weber di salire a Palazzo Berlaymont sarebbero più concrete, anche se rimarrebbero le tensioni interne al partito tedesco, con Tajani come alternativa. Con Michel in una posizione più marginale, l’accordo sulle presidenze di Parlamento e Consiglio risulterebbe meno problematico: ai Conservatori, che difficilmente potrebbero proporre una figura come quella dei polacchi Mateusz Morawiecki o Jarosław Kaczyński per presiedere il Consiglio Ue, andrebbe la guida del Parlamento, mentre ai liberali di Renew, di nuovo, quella del gruppo dei 27, con il nome del primo ministro olandese Mark Rutte che appare uno dei più spendibili, anche se in queste settimane circola anche quello dell’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi. Guidando due dei più importanti esecutivi europei, quello tedesco e quello spagnolo, capaci di spostare gli equilibri in sede di Consiglio Ue, oltre a quelli di Malta e del dimissionario Portogallo, i Socialisti non hanno però alcuna intenzione di farsi da parte: starà a questa ipotetica alleanza di destra, la prima nella storia delle istituzioni europee, accontentarli. Per questo, però, servono importanti garanzie sugli incarichi chiave.