Sentenza storica quella del tribunale dei minorenni di Venezia, che ha accolto la richiesta da parte di due ragazzini di essere adottati dal nuovo compagno della madre e assumere il suo cognome, rinunciando a ogni rapporto col padre biologico. “Un padre non lo è solo sulla carta – ha detto uno dei due fratelli al giudice – un padre è chi è davvero al tuo fianco, in ogni momento”. Un padre, che dal divorzio dalla loro madre non si era più interessato a loro – nati tra l’altro con problemi sanitari – iniziando prima un’altra relazione dalla quale erano nati altri due figli e trasferendosi poi all’estero, abbandonando di fatto la cura e il mantenimento dei due primi figli alla sola responsabilità della madre.

Ora, considerato che la patria potestà, secondo il Codice Civile, è il diritto e il dovere – una volta esclusivo solo del padre, poi riconosciuto ad entrambi i genitori con l’articolo 316 del Codice Civile – di mantenere e istruire i figli minorenni nel rispetto dei loro interessi e naturali predisposizioni, tale diritto-dovere nel caso di specie era venuto meno. Nonostante l’opposizione del padre biologico, il tribunale ha così dichiarato decaduta la patria potestà. Il nuovo compagno della madre, divenuto nel frattempo nuovo marito avendola sposata, ha così potuto dare ai due ragazzi il proprio cognome.

Una nuova legge, la n. 54/2006, ha eliminato qualsiasi discriminazione tra i genitori disponendo un ruolo paritario nell’educazione dei figli, trasformando l’affido “congiunto” da eccezione a regola, sotto la definizione di “affido condiviso” (principio della bigenitorialità) per i figli di coppie separate anche non sposate. Con tale istituto si riconosce ai figli il diritto di mantenere con entrambi i genitori rapporti stabili e continuativi. La stessa legge, però, non ha ritenuto di costringere (e tuttavia non avrebbe potuto farlo) uno dei due genitori ad esercitare per forza e contro la sua volontà il ruolo genitoriale. Perché “nessuna legge può costringere una persona a manifestare un affetto che non sente o ad esercitare un ruolo genitoriale non voluto”, come è stato scritto in una sentenza simile a quella di Venezia, l’8.6.2007 a L’Aquila.

Nel giro di un paio di generazioni siamo passati da un modello di padre autoritario, affettivamente distante, a uno più vicino al mondo dei sentimenti. È nato un nuovo padre, il padre “partecipante” di fine millennio. Padri desiderosi di condividere con la compagna le gioie dell’accudimento della prole. Come non ricordare il bellissimo film cult del ‘93 Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre con protagonista Robin Williams, che, divorziato, non riuscendo a stare lontano dai figli si fa assumere – debitamente trasformatosi in una tata – dalla propria ex moglie.

In una società profondamente trasformata, anche il ruolo paterno si modifica; e se da una parte c’è l’uomo nuovo accudente, dall’altra si assiste ad un fatto che Jacques Lacan ha chiamato “l’evaporazione del padre”. E secondo molti psicoanalisti non si tratta di una evaporazione temporanea, ma di un fatto strutturale ormai irremeabile. Al centro della nuova narrazione c’è un padre che non c’è. Padri che non regalano mai un abbraccio, che non ti chiedono come è andata oggi a scuola o se quella che frequenti è un’amica o una della quale ti sei innamorato, padri “amici” che invece vorresti per una volta ti strigliassero a dovere. Padri ancora figli. Padri Peter Pan. Padri che hanno un’altra famiglia e si sono dimenticati di te.

O come il padre dei due ragazzi, che alla fine meno male che un nuovo padre lo hanno trovato nel nuovo compagno della madre. Un uomo che, fortunata anche la loro madre, si è assunto una responsabilità, quella di essere presente e anche di più. Un padre solido.

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